India – Pakistan: conflitto geopolitico ed etnico – religioso
L’attentato
Il recente attentato terroristico avvenuto a Pahalgam, costato la vita a 26 persone – per lo più turisti – ha riacceso i riflettori della comunità internazionale su una delle rivalità geopolitiche più delicate e rischiose del pianeta. L’episodio ha nuovamente messo in evidenza le fragili relazioni tra India e Pakistan, due paesi confinanti dotati di armamenti nucleari, la cui storica contrapposizione rischia di evolversi da crisi diplomatica ricorrente a confronto armato dagli esiti potenzialmente devastanti.
L’attentato non è stato un episodio di violenza isolata, ma un’operazione pianificata con cura e rivendicata dal gruppo terroristico The Resistance Front (TRF), considerato una propaggine della rete jihadista Lashkar-e-Taiba, già responsabile degli attentati di Mumbai del 2008.
Secondo fonti locali, i miliziani hanno agito con estrema selettività: tutte le vittime erano uomini di fede indù provenienti da diverse regioni dell’India. L’unico musulmano rimasto ucciso era un abitante del posto, impiegato come accompagnatore a cavallo, morto mentre tentava di difendere i visitatori. La dinamica dell’attacco e la scelta delle vittime sembrano confermare l’intento deliberato di alimentare le tensioni interreligiose nella regione.
Il contesto geopolitico in cui si è verificata la strage aggiunge un ulteriore livello di lettura: solo pochi giorni prima, il Capo di Stato Maggiore pakistano, generale Asim Munir, aveva pronunciato un discorso dai toni fortemente ideologici, in cui esaltava il Pakistan come l’unico Stato fondato sul Corano in epoca moderna, definendo il Kashmir la “vena giugulare” del paese, parole che secondo osservatori regionali riflettono un crescente nazionalismo religioso ed una retorica ostile all’identità pluralista dell’India.
Le autorità di Nuova Delhi da tempo accusano Islamabad di utilizzare gruppi estremisti come strumenti per destabilizzare la regione del Kashmir, proprio mentre si registrano segnali di maggiore integrazione economica e sociale della valle con il resto dell’India. Iniziative governative, investimenti e l’espansione del turismo hanno contribuito ad una percezione di normalizzazione tra molti residenti, soprattutto dopo la revoca dell’articolo 370 della Costituzione, un tempo considerata una misura divisiva ma oggi vista da molti come un’opportunità di sviluppo.
Sul versante pakistano, la situazione appare ben diversa: il Paese affronta una crisi economica senza precedenti, crescenti proteste nella porzione di Kashmir sotto il suo controllo ed il naufragio di progetti infrastrutturali chiave, come il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC). Anche sul fronte diplomatico, Islamabad si trova sempre più isolata: l’appoggio storico di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si va lentamente spostando verso Nuova Delhi, attratta dal più ampio ed ambizioso Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC).

In questo quadro, l’attentato di Pahalgam sembra rientrare in una strategia ben calcolata: le vittime sono state esclusivamente uomini indù. Una scelta tattica che richiama il modus operandi osservato negli attacchi del 7 ottobre condotti da Hamas contro Israele e che mira a provocare indignazione senza superare quella soglia che potrebbe generare una condanna internazionale più ampia. Inoltre, l’evitare vittime musulmane potrebbe essere un tentativo di preservare un certo grado di consenso o neutralità tra la popolazione locale e nei paesi a maggioranza islamica.
L’attacco terroristico verificatosi ha rappresentato un atto calcolato per innescare un’escalation militare con il Pakistan e creare tensioni interne in India. L’azione è giunta in un momento particolarmente critico, segnato da proteste della comunità musulmana contro la nuova normativa sul Waqf e sembra aver puntato a riaccendere il conflitto settario tra hindu e musulmani. Nonostante l’intento provocatorio, la risposta collettiva della società indiana ha smentito le aspettative dei mandanti: l’attentato, anziché dividere, ha rafforzato un senso di unità trasversale nel Paese. Esponenti dell’opposizione – compreso il leader musulmano Asaduddin Owaisi, da sempre critico nei confronti dell’esecutivo guidato da Narendra Modi – hanno condannato con fermezza l’episodio, chiedendo alla propria comunità di osservare il lutto e di attribuire le responsabilità al Pakistan. Le dichiarazioni di solidarietà hanno attraversato l’intero panorama politico e religioso: i cittadini musulmani, in particolare, si sono dissociati in modo netto dalla retorica dei terroristi, dimostrando una chiara volontà di non cadere nella trappola del settarismo. L’India ha quindi reagito con compattezza, respingendo il tentativo di provocare divisioni su base religiosa.
La genesi del conflitto
La rivalità tra India e Pakistan ha radici profonde che risalgono alla drammatica separazione del 1947, quando la fine della dominazione britannica causò la divisione del subcontinente indiano secondo criteri religiosi. Questa separazione generò due nuove nazioni: il Pakistan, prevalentemente musulmano, e l’India, a maggioranza induista. Tale divisione scatenò violenze interreligiose senza precedenti, causando centinaia di migliaia di vittime e dando vita ad uno dei più vasti movimenti forzati di popolazione nella storia moderna.

La regione del Kashmir, prevalentemente musulmana ma governata all’epoca da un sovrano induista, fu immediatamente motivo di tensione. La scelta del Maharaja di aderire all’India per ottenere protezione dalle incursioni di gruppi armati provenienti dal Pakistan portò allo scoppio del primo conflitto indo-pakistano nel biennio 1947-1948. L’intervento diplomatico delle Nazioni Unite riuscì ad ottenere un cessate il fuoco che però lasciò il Kashmir diviso fra i due Stati, senza risolvere definitivamente la controversia.
Negli anni successivi, le tensioni sfociarono nuovamente in conflitti armati: nel 1965 i due paesi tornarono a combattersi ancora per il Kashmir, mentre nel 1971 l’India intervenne a sostegno dell’indipendenza del Bangladesh, allora denominato Pakistan Orientale. Infine, nel 1999, India e Pakistan, ormai divenute entrambe potenze nucleari, si affrontarono militarmente nel distretto di Kargil, rischiando di scatenare una crisi dalle conseguenze potenzialmente devastanti.
Le recenti tensioni
Dal 2000 in poi le relazioni tra India e Pakistan hanno attraversato periodi ciclici, alternando momenti di apparente distensione ad improvvise crisi diplomatiche e militari; una delle più drammatiche si verificò nel 2019: in quell’anno, un attentatore suicida colpì un convoglio militare a Pulwama, in India, provocando la morte di 40 membri delle forze paramilitari indiane. Il governo indiano rispose con un bombardamento aereo contro un presunto campo terroristico situato nella località di Balakot, oltre il confine pakistano. Islamabad reagì immediatamente con un’operazione di controffensiva aerea, durante la quale riuscì ad abbattere un caccia indiano, aumentando considerevolmente il rischio di un conflitto aperto tra i due Paesi.

Nello stesso anno, il governo del premier indiano Narendra Modi decise unilateralmente di revocare lo status speciale di autonomia precedentemente riconosciuto alla regione indiana del Kashmir. Questa misura, secondo le autorità indiane, avrebbe permesso una migliore integrazione della regione all’interno del sistema federale ed avrebbe aiutato a contrastare più efficacemente i movimenti separatisti locali; la decisione ebbe come immediata conseguenza un ulteriore incremento delle tensioni diplomatiche con il Pakistan, oltre a suscitare profondo risentimento e proteste nella popolazione del Kashmir.
L’attuale crisi
L’attacco terroristico avvenuto il 22 aprile 2025 ha segnato l’episodio più grave di violenza nella regione dal 2019, scatenando un’immediata escalation delle tensioni. Le autorità di Nuova Delhi hanno puntato il dito contro Islamabad, sostenendo che l’attentato sia stato facilitato dal supporto di gruppi estremisti presumibilmente legati al Lashkar-e-Taiba, un’organizzazione già nota per operazioni armate nella regione del Kashmir; in reazione a queste accuse, l’India ha intrapreso una serie di misure diplomatiche e commerciali particolarmente rigide. Tra le azioni più significative figurano la chiusura del valico di Attari-Wagah, cruciale punto di passaggio tra i due Paesi, la sospensione del Trattato sulle Acque dell’Indo (strumento essenziale per la gestione idrica ed agricola del Pakistan) e l’annullamento dei visti per i cittadini pakistani; è stato disposto inoltre un drastico ridimensionamento della rappresentanza diplomatica del vicino Stato.
Islamabad non ha tardato a replicare, adottando contromisure simmetriche. Il governo pakistano ha vietato l’accesso al proprio spazio aereo ai voli provenienti dall’India, interrotto completamente gli scambi commerciali bilaterali e revocato i visti per i cittadini indiani, fatta eccezione per i pellegrini sikh; ha inoltre proceduto all’espulsione di alcuni militari indiani presenti nel paese.
Il rischio di escalation
Secondo l’opinione prevalente tra gli osservatori, l’interrogativo non è più se l’India reagirà militarmente all’ultima aggressione subita, ma piuttosto quando e con quale intensità deciderà di farlo. Il primo ministro Narendra Modi, che ha assunto un impegno pubblico nel voler perseguire i responsabili “fino ai confini del mondo”, si trova ora nella posizione di dover tradurre quelle parole in azione, pena un calo di credibilità in un momento cruciale per la stabilità politica del suo governo.
Nuova Delhi dispone di un ampio spettro di opzioni, che variano in termini di visibilità ed impatto. Tra le possibilità più discrete vi sono le operazioni clandestine contro bersagli legati al terrorismo, azioni che permetterebbero una certa ambiguità sull’identità degli esecutori; sul fronte opposto, si collocano azioni più evidenti, come i raid lungo la Linea di Controllo nel Kashmir o persino attacchi mirati in stile Balakot, rievocando l’intervento del 2019 contro sospetti campi jihadisti in territorio pakistano. A segnare una vera escalation sarebbe infine l’eventuale uso di missili da crociera su installazioni strategiche, una scelta che comporterebbe implicazioni ben più gravi sul piano regionale.

Ogni mossa comporta il rischio concreto di un’escalation incontrollabile: la possibilità di una risposta militare da parte del Pakistan è reale, e potrebbe dar vita ad una spirale di ritorsioni. Sebbene l’equilibrio nucleare tra le due nazioni abbia finora scongiurato una guerra su larga scala, la realtà mostra come entrambe le parti non esitino ad impegnarsi in scontri limitati quando lo ritengono necessario. In tale scenario, l’intervento delle potenze globali potrebbe rivelarsi cruciale, ma l’attuale disattenzione di Washington verso l’Asia meridionale e le tensioni internazionali in altri quadranti del mondo complicano gli sforzi diplomatici multilaterali.
Nel frattempo, il nodo del Kashmir resta irrisolto: questa regione, celebre per la sua bellezza paesaggistica, continua ad essere uno dei luoghi più militarizzati al mondo. La popolazione locale, intrappolata tra due colossi nucleari, continua a sopportare il peso di un conflitto che ha assunto dimensioni ben più profonde di una mera disputa territoriale, intrecciando elementi etnici, religiosi e nazionalistici che alimentano la polarizzazione e rendono lontana una soluzione duratura.
Riferimenti bibliografici:
- https://www.nytimes.com/2025/05/06/world/asia/india-pakistan-kashmir-drills.html
- https://formiche.net/2025/04/india-pakistan-il-fronte-della-resistenza-e-una-nuova-provocazione-nella-guerra-al-terrorismo/
- https://www.panorama.it/attualita/esteri/india-e-pakistan-sullorlo-del-conflitto-alta-tensione-dopo-lattacco-in-kashmir
- https://formiche.net/2025/04/cosa-ce-alle-radici-del-conflitto-india-pakistan-lanalisi-del-gen-caruso/
- https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/india-pakistan-sale-tensione-al-confine-islamabad-testa-nuovo-missile/ar-AA1Ebeeg?ocid=BingNewsSerp
- https://formiche.net/2025/04/india-pakistan-crisi-conflitto/