Siria: le sanzioni, l’influenza iraniana e lo sviluppo dei porti
Il ruolo di Trump
Donald Trump, ha annunciato l’intenzione di revocare tutte le sanzioni imposte alla Siria, una misura che, per quanto ampia, potrà essere attuata solo in parte tramite decreti presidenziali, mentre altre restrizioni necessiteranno del via libera del Congresso per essere effettivamente rimosse. La mossa è stata accolta come un’opportunità di rilancio per il Paese mediorientale, oggi guidato dal presidente ad interim Ahmed al Sharaa, ex combattente jihadista con un passato da detenuto nelle carceri statunitensi in Iraq. La Siria versa in condizioni drammatiche: oltre il 90% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

La scelta di Trump ha suscitato divisioni all’interno del suo stesso entourage, ma è stata fortemente sostenuta da due leader regionali di primo piano: il presidente turco Recep Tayyip Erdoǧan ed il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Fonti vicine ai vertici diplomatici fanno sapere che la decisione è maturata dopo un intenso dibattito, alimentato dal timore crescente che la Siria potesse definitivamente collassare sotto il peso della frammentazione interna, generata da decine di milizie su base etnica e religiosa. Questo scenario si ipotizza abbia spinto in particolare l’Arabia Saudita a premere per una soluzione capace di evitare l’implosione del Paese.
L’inchiesta di Reuters e l’influenza iraniana
Nel frattempo, mentre a Damasco si celebrava quella che molti interpretano come una svolta storica per la nazione ed il suo popolo, un’inchiesta condotta dall’agenzia Reuters ha portato alla luce un documento riservato di 33 pagine, rinvenuto nei locali dell’ex ambasciata iraniana nella capitale siriana. L’edificio era stato occupato e depredato dalle milizie fedeli ad al Sharaa, nel momento in cui queste hanno preso il controllo della città, costringendo l’allora alleato di Teheran, Bashar al Assad, alla fuga.
Il contenuto del documento, secondo quanto riportato, conferma sospetti di lunga data: l’Iran avrebbe pianificato una strategia per esercitare un’influenza dominante in Siria – come già avvenuto in Iraq ed in Libano – attraverso ingenti investimenti miliardari in settori chiave quali infrastrutture, porti e risorse naturali. L’obiettivo era dar vita ad un vero e proprio impero informale sotto l’egida della Repubblica Islamica, con un controllo esteso non solo sul piano economico, ma anche politico e culturale.

Particolarmente significativo è il riferimento, all’interno del testo, al Piano Marshall statunitense, utilizzato come modello per giustificare l’approccio iraniano: così come Washington aveva ricostruito l’Europa nel dopoguerra per consolidare la propria influenza, anche Teheran avrebbe dovuto fare lo stesso nel Levante. Una sorprendente inversione di ruoli, in cui la potenza che si professa anti-imperialista prende esempio proprio da quella che ha sempre definito il suo principale nemico ideologico.
Secondo alcuni passaggi del documento, l’imposizione delle sanzioni internazionali avrebbe addirittura agevolato la penetrazione iraniana limitando l’ingresso di attori concorrenti e rafforzando la presa di Teheran sulle economie locali; un’ipotesi che, se confermata, getterebbe nuova luce non solo sul passato recente della regione, ma anche sulle dinamiche strategiche che oggi continuano a plasmarla.
Secondo alcuni analisti, l’ambizione geopolitica dell’Iran contemporaneo avrebbe assunto una duplice natura: da un lato, essa mira simbolicamente a ristabilire l’antico splendore dell’Impero persiano, in una sorta di rivalsa storica nei confronti di figure come Alessandro Magno, dall’altro, si intreccia con l’obiettivo ideologico di esportare il modello della Repubblica islamica teocratica, fondato dal leader rivoluzionario Ruhollah Khomeini. In questa visione, l’Iran si pone come centro guida di un progetto pan-sciita e teocratico, in cui il potere spirituale e politico dell’Imam – sia esso Khomeini stesso o un suo successore khomeinista – diventa il pilastro del governo.
Il contesto storico di attrito tra mondo persiano ed arabo riemerge in questa prospettiva espansionistica, che assume tratti colonizzatori sotto il profilo religioso ed ideologico; gli artefici operativi di tale disegno sono identificati nei Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, braccio militare ed ideologico dell’Iran, incaricato non solo della difesa interna, ma anche dell’attuazione della strategia di influenza all’estero, compresa l’ingegneria demografica ed il sostegno alle milizie affini.
La figura di Al Sharaa e gli equilibri geopolitici
Nel nuovo equilibrio siriano, l’attenzione si concentra sulla figura del presidente al-Sharaa: ex esponente di ambienti legati alla galassia jihadista sunnita, il leader siriano avrebbe compiuto un’evoluzione radicale, distanziandosi da gruppi come l’Isis, che in passato lo hanno visto coinvolto prima come alleato, poi come oppositore. La transizione verso posizioni più moderate, vicine alla visione tecnocratica e meno ideologizzata promossa dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, rappresenta per alcuni osservatori una svolta significativa.
Alcuni detrattori sottolineano come al-Sharaa continui a conferire potere a figure legate alla coalizione islamista che lo ha sostenuto, sollevando dubbi sulla reale portata della sua trasformazione. Altri, al contrario, lo descrivono come un attore chiave nella decostruzione delle reti jihadiste in Siria, penalizzato però dal regime di sanzioni che ha ostacolato qualsiasi apertura politica o riforma economica. In questa prospettiva, il sostegno esterno, in particolare dagli Stati Uniti sotto la guida di Donald Trump, è stato visto come una possibile via per stabilizzare il Paese ed impedire una nuova implosione.

L’effettiva autonomia di al-Sharaa nel promuovere un cambiamento interno resta comunque legata agli equilibri geopolitici regionali: Riyad, attraverso la propria influenza, potrebbe esercitare una pressione determinante nel favorire una transizione verso un governo meno radicale, chiamando il leader siriano a prendere le distanze dalle frange più estreme che lo hanno sostenuto fino ad oggi.
Il ritrovamento del documento a Damasco getta nuova luce sulle ambizioni iraniane: più che in un antagonismo diretto con gli Stati Uniti o con l’Occidente, Teheran si sarebbe mossa perseguendo un proprio progetto imperiale e di lungo periodo, di natura esplicitamente coloniale, ben al di là della retorica antiamericana. Un piano parallelo, ma indipendente, rispetto alle logiche di confronto classiche della Guerra Fredda.
Sul piano diplomatico, il governo siriano ha anche lasciato intendere l’intenzione di aderire agli Accordi di Abramo, che comprendono tra i firmatari anche Israele, tradizionalmente percepito come avversario regionale.
In un contesto profondamente segnato da divisioni religiose ed etniche, le vecchie strategie settarie o repressive – come quelle adottate in passato dal governo di Assad – appaiono oggi impraticabili: la soluzione, secondo molte voci della società civile, risiederebbe in un modello federalista non confessionale, capace di valorizzare la diversità e costruire coesione sociale.
La strategia portuale
Nel contesto mediorientale, dove la solidarietà verso la causa palestinese è spesso rimasta confinata alle dichiarazioni di principio, si afferma un’altra realtà: quella del pragmatismo economico.
Emblematica in questo senso è la situazione della Siria: a dispetto del suo recente passato segnato da guerre civili e leadership controverse, il paese sembra voler intraprendere un percorso di rinascita economica, puntando su infrastrutture strategiche.
Proprio dai porti di Tartous e Latakia, storicamente cruciali per il commercio e l’influenza nella regione, parte la ricostruzione: il governo siriano ha infatti siglato un memorandum d’intesa da 800 milioni di dollari con DP World, colosso emiratino della logistica portuale. L’intesa prevede la riqualificazione del porto di Tartous, con lo sviluppo di un terminal multifunzionale e la creazione di zone industriali ed aree di libero scambio, aprendo la strada ad una maggiore integrazione economica con i partner internazionali.

Tartous non è un caso isolato: anche il porto di Latakia è oggetto di importanti investimenti. All’inizio di maggio, il gruppo francese CMA CGM – guidato da una direzione libanese – ha firmato un accordo trentennale per potenziare lo scalo siriano, impegnandosi a costruire un nuovo attracco e ad investire 260 milioni di dollari nell’ammodernamento delle infrastrutture. L’azienda, attiva a Latakia dal 2009, ha rinnovato la propria concessione nell’ottobre 2024 per altri 30 anni, confermando la propria presenza anche sotto il governo di Bashar al-Assad.
Nel quadro di una crescente espansione nei porti del Mediterraneo orientale, il gruppo francese CMA CGM ha annunciato un importante investimento nel porto di Latakia. Entro il 2029, è previsto lo sviluppo di un nuovo molo conforme agli standard internazionali: una struttura lunga 1,5 chilometri e con una profondità di 17 metri, per un valore complessivo di 200 milioni di euro. Questo intervento infrastrutturale punta a rendere Latakia una base strategica per l’approdo delle grandi navi porta-container.
Focus Libano
Parallelamente, la Francia rafforza la propria influenza anche in Libano, dove il porto di Beirut, nonostante il devastante incidente del 2020 – che provocò circa 200 vittime e danni paragonabili ad un terremoto di magnitudo 4.5 – ha continuato ad operare, seppur tra mille difficoltà. Due società di ingegneria francesi, Artelia ed Egis, hanno elaborato un piano per la riqualificazione dell’area portuale, ad eccezione del terminal container. Quest’ultimo è gestito dal 2022 da CMA Terminals, una controllata di CMA CGM, che si è aggiudicata un contratto decennale per la conduzione e la manutenzione dell’infrastruttura. Il nuovo progetto di rilancio, sostenuto finanziariamente dal Ministero dell’Economia francese e dal porto di Marsiglia, prevede la ricostruzione delle banchine compromesse, la riorganizzazione logistica del traffico interno grazie ad un layout rivisto, e l’introduzione di impianti ad energia solare, in collaborazione con EDF, il colosso energetico francese; la sicurezza dell’intervento è stata valutata da Expertise France, agenzia pubblica transalpina. Per concretizzare l’iniziativa, il Libano punta a reperire fondi compresi tra i 50 ed i 100 milioni di dollari attraverso strumenti di project financing.
Riferimenti bibliografici:
- https://www.reuters.com/investigations/iran-had-imperial-ambitions-syria-secret-embassy-papers-show-why-it-failed-2025-05-01/
- https://contropiano.org/news/internazionale-news/2025/04/26/hts-vuole-aderire-agli-accordi-di-abramo-e-repressione-per-i-palestinesi-0182540
- https://formiche.net/2025/05/siria-trump-iran-isis-sanzioni/
- https://it.insideover.com/politica/la-siria-verso-gli-accordi-di-abramo-e-la-pace-con-israele.html
- https://www.agcnews.eu/siria-per-trump-il-futuro-della-nuova-siria-e-negli-accordi-di-abramo/
- https://aresdifesa.it/la-siria-si-riprende-il-porto-di-tartus/
- https://ilfarosulmondo.it/siria-cede-porto-di-tartus-emirati-arabi-uniti/
- https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/logistica/geo-logistica/al-jolani-punta-sui-porti-per-inventare-una-siria-dal-volto-buono/
- https://www.notiziegeopolitiche.net/siria-annullato-laccordo-con-la-russia-per-la-gestione-del-porto-di-tartus/
- https://www.lastampa.it/esteri/2025/01/22/news/la_fine_dell_era_della_russia_in_siria_damasco_rescinde_il_contratto_con_stroytransgaz_via_libera_a_due_navi_russe_nel_por-14954603/
- https://www.ilpost.it/2025/05/13/donald-trump-sanzioni-siria/