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“La Terza portaerei”: una CVN per l’Italia?

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Ciclicamente torna, da quando è stata licenziata nel 1989 la legge “ali per la marina”[1], il dibattito sulle portaerei italiane. Superato, in realtà fino ad un certo, il confronto fra Marina Militare ed Aeronautica che risaliva agli anni ’20 – ’40 del XX secolo, con l’Incrociatore tuttoponte Garibaldi (successivamente portaeromobili per poi diventare nel 1994 finalmente portaerei) l’Italia ha vissuto, per tutti gli anni ’90, il dibattito sulla NUM.

La Nuova Unità Maggiore, successore del Garibaldi doveva disporre di un bacino allagabile? La formula della portaerei pura soffriva l’influenza dell’esperienza inglese con la classe Invincibile mentre la portaelicotteri da assalto anfibio strizzava l’occhio alle Landing Helicopter Dock che fanno da casa al corpo dei Marines americani. Nel caso del Cavour fu la prima formula a vincere nonostante sia rimasta la possibilità del trasporto di mezzi ruotati e cingolati secondo la formula del Roll On Roll Off. In questa chiave fu proprio la missione inaugurale della nuova ammiraglia italiana come Disaster Relief in occasione del devastante terremoto di Haiti del 2010[2].

La Lobby del bacino allagabile non ha però rimesso nel cassetto le proprie motivazioni aggiungendo la questione dei costi e della necessità di aumentare le capacità di Disaster Relief della nuova ammiraglia che avrebbe affiancato il Cavour. Il problema dei costi apparve evidente durante il conflitto con la Libia del 2011 in cui si preferì l’impiego del Garibaldi con la sua linea di volo basta sugli Harrier[3]. Il Garibaldi che già aveva dato ottima prova di sé contro il regime dei talebani nel periodo immediatamente successivo all’11 settembre.

L’attuale LHD Trieste è leggermente più grande del Cavour ma vede le proprie capacità aeronavali limitati dalla necessità di un aggiornamento alle esigenze dello F35B[4] oltre che dalla presenza del bacino allagabile che limita a 25 nodi la velocità di punta e di un grande ospedale da campo che taglia le dimensioni dell’hangar. A questo si aggiunge la presenza di un ponte garage che alza in modo importante l’opera viva del vascello. Queste limitazioni sono parzialmente compensate da uno ski-jump (trampolino) da 12 gradi a sbalzo che non era presente nelle prime presentazioni in 3D del progetto[5].

Oggi il quadro aeronavale del futuro è molto più fumoso che in passato e le scelte che i decisori politici dovranno fare assieme ai tecnici riguardo la “terza portaerei” auspicata dall’Ammiraglio Credendino nella sua relazione al parlamento del marzo 2023 sono, possibilmente, ancora più complesse[6].

Al momento non appaiono né in essere né in programma piani per la realizzazione di un aereo a decollo corto ed atterraggio verticale di sesta generazione. L’F35, il cui programma iniziale prevedeva il pieno sviluppo secondo il modello “a spirale” nel 2044, è già oggetto di possibili aggiornamenti di mezza vita. Si parla dell’introduzione dell’“opzione pilotata” (ossia poter ospitare o meno a bordo un pilota umano). Caratteristiche che fu bocciata alla fine degli anni ’90 in quanto troppo onerosa da ottenere con il rischio di rallentare eccessivamente l’andamento del progetto che già era sotto la lente di ingrandimento della Corte dei Conti Statunitense per l’eccessiva lievitazione dei costi. Il presidente Trump ha anche polemizzato con la formula monomotore dell’F35 auspicando la realizzazione di un F55 con propulsione bimotore[7]. La formula a due motori garantisce, sicuramente, una maggiore sicurezza nel volo, soprattutto per i velivoli imbarcati in missioni oceaniche, ma Pratt & Whitney garantì all’epoca che lo sviluppo delle tecnologie informative di controllo della propulsione di tipo Full Fadec avrebbero garantito una sicurezza generazione dell’F35 come se fosse stato dotato di due motori. Aggiungere un secondo motore in un airframe pensato per alloggiarne uno solo significa dover riscrivere il software del Fadec, ridisegnare la fusoliera in modo da mantenere inalterato il baricentro ma, soprattutto, andare incontro a superiori costi legati alla ridondanza di tutto ciò che passi attraverso i due propulsori.

È impossibile ipotizzare un aereo bimotore che possieda caratteristiche STOVL. Già oggi i ponti di volo delle portaerei che ospitano lo F35 devono essere rinforzati e trattati con metalli particolari come il termion ed impiegare vernici fonoassorbenti. Il futuribile F55 sarà più pesante dell’attuale F35 che già non è proprio un peso piuma e, in una ipotetica versione ad atterraggio verticale, dovrebbe abbattere a terra una forza pari al proprio post-bruciatore. Il gioco non vale la candela.

A tutto questo va aggiunto il lavoro necessario per trasportare l’F35 dalla 5a alla 6a generazione che non si riassume esclusivamente nell’opzione pilotata ma in molte altre tecnologie ma, soprattutto, in una autonomia di volo molto maggiore rispetto alla generazione attuale.

L’ unica ipotesi praticabile sul tavolo è, pertanto, navalizzare un aereo di 6a generazione fra quelli in realizzazione in occidente. Si tratta dell’F47 di Boeing, il Global Combat Air Program di Italia, Giappone e Regno Unito ed il Future Air Combat System realizzato da Francia e Germania.

Salta subito all’occhio come siano tutti aerei convenzionali che necessiterebbero di una portaerei CATOBAR come le grandi portaerei nucleari americane. L’F47, i cui prototipi volano in modalità cover da almeno 5 anni, potrebbe essere vincente anche nel bando per il futuro aereo della US Navy come sostituto dell’F18E[8]. Il GCAP sarebbe il candidato naturale in modo da ottimizzare gli acquisti e la linea logistica fra AM ed MM. Rimane il nodo di come questo velivolo non sia, almeno al momento, nemmeno in ipotesi navalizzato. Ricordiamo che l’ambiente del ponte di una portaerei è molto differente da quello di una grande base aerea. Un grande aereo navale, storicamente, diventa un grande aereo basato a terra mentre è difficilissimo affermare il contrario, a meno che non si valuti positivamente l’esperienza delle versioni K di Mig 29 e SU27. È anche vero che proprio adesso in cui i progetti sono ancora sul tavolo degli ingegneri sarebbe possibile introdurre delle innovazioni riducendo al minimo i costi e l’impatto sul prodotto finale. L’FCAS è l’unico della terna che preveda fin da subito una versione navale. Il desiderio francese di introdurre una nuova portaerei nucleare che risolva i problemi legati alle dimensioni dell’attuale Charles de Gaulle ha spinto in questa direzione, replicando la positiva esperienza del Rafale che da spin-off dell’EFA (di cui i francesi erano partner) è diventato un’intera famiglia di velivoli[9].

Sembra pertanto che l’unica soluzione praticabile mantenendo la totale autonomia strategica sia il GCAP, tanto più che una futura versione navale potrebbe interessare anche agli altri partner che, da attuali fruitori dello F35B, si trovano di fronte a quesiti analoghi. L’Inghilterra ha il vantaggio che la classe Queen Elisabeth, attualmente in versione STOVL, possa essere messa ai lavori e portata in configurazione CATOBAR. La cosa è stata dichiarata ufficialmente dal Ministero della Difesa nel 2024. Da capire, ovviamente, i tempi ed i costi di una trasformazione tanto importante dato che la formula convenzionale fu evitata proprio per ridurre le spese[10].

Come potrebbe essere la futura portaerei CATOBAR italiana? L’ammiraglio Credendino, in una sua dichiarazione dei primi di giugno di quest’anno, ha parlato espressamente della valutazione di una portaerei a propulsione nucleare di nuova generazione da mettere in linea nel 2040[11] e quindi compatibile con le tempistiche di ritiro del Cavour, entrata in linea nel 2009, e con l’ingresso in servizio del GCAP, previsto per il 2035.

Focalizziamoci, seppur in modo spicciolo, su alcune sfide che un progetto del genere potrebbe portare elencandole in modo puntuale.

  • Le dimensioni del GCAP sono simili a quelle di aerei come l’F14 ed il mai nato F111B[12]. Si tratta quindi di velivoli di dimensioni generose che avranno bisogno di una portaerei da 60 mila tonnellate di stazza, come la futura francese, le attuali Queen Elisabeth e le STOBAR ex-sovietiche. Qui il nodo non sarebbe tanto quello dei costi, bensì la disponibilità per la cantieristica nazionale delle infrastrutture necessarie alla realizzazione. Basti pensare che gli inglesi per le loro portaerei dovettero noleggiare una speciale gru direttamente dalla Cina[13]. Nonché, a tutto il mondo che ruota attorno ad uno scafo di queste dimensioni, a partire dalle basi navali a Taranto, passando per il personale. Se è verosimile ipotizzare una riduzione dell’equipaggio grazie alla robotica ed all’intelligenza artificiale, questo non potrà essere applicato oltre un certo limite. La classe Ford, campione di riduzione del personale, necessita di 4500 persone a bordo mentre la Charles de Gaulle 1900.

  • In Europa non disponiamo della tecnologia elettromagnetica. La nuova classe Ford non solo lancia gli aerei tramite una catapulta con spoletta accelerata con la stessa tecnologia che alimenta le montagne russe più moderne, ma utilizza anche dei cavi di arresto basati sulla stessa tecnologia al posto della rodata e diffusa accoppiata vapore – oleopneumatica. Questa tecnologia permette di ridurre drasticamente lo stress degli aerei in decollo, aumentandone la vita utile con risparmi non da poco, oltre a consentire il rientro degli aerei con ancora a bordo una buona frazione di carburante ed un maggior numero di ordigni (noto come “bring back”). Anche questo si traduce in costi e sprechi ridotti drasticamente. I francesi, per la loro nuova portaerei, hanno già siglato contratti con gli americani, mentre i cinesi, con la TYPE 003, si sono dimostrati capaci di realizzare tutto in casa. Saremo capaci di fare lo stesso?

  • Come accetterà una nave del genere l’opinione pubblica nazionale? Se è vero che il conflitto in corso fra Russia ed Ucraina ha parzialmente cambiato la sensibilità riguardo le spese per la difesa dobbiamo valutare che un progetto del genere possa impiegare 15 anni per la propria realizzazione. Ciò significa attraversare diversi governi, crisi economiche, calamità e situazioni attualmente solo ipotizzabili. Oltre alla natura strettamente offensiva di una CATOBAR sarà necessario tenere sotto controllo stretto i costi, evitando situazioni simili a quelle già citate dell’F35, della Queen Elisabeth o della stessa Ford americana la cui capoclasse è costata 13 miliardi di dollari. Aggiungiamo anche il problema che un vascello a propulsione nucleare, per quanto profondamente diverso dalla propulsione tradizionale degli altri vascelli attualmente in linea, dovrà confrontarsi con un’Italia che vede sostanzialmente tutte le regioni de-nuclearizzate per statuto.

  • Non ultimo, la questione dello sviluppo della minaccia. Droni aerei e navali pongono nuove sfide rendendo necessario una riedizione di quella difesa multistrato tanto in voga durante la Guerra Fredda. Se è vero che le portaerei sono navi intrinsecamente flessibili è altrettanto vero che oggi come oggi sia impossibile nasconderle in tutte le fasi dello spettro elettromagnetico. Navi così costose potranno essere messe in campo in pochissimi esemplari, al punto che gli stessi Stati Uniti pensano di fermarsi a solo 9 scafi contro gli 11 attuali nonostante i 14 che la loro presenza globale richiederebbe. Anche ipotizzando una nuova classe realizzata assieme agli alleati GCAP è difficile pensare a più di 6 esemplari. Le portaerei STOVL, al contrario, con la generazione attuale di velivoli si pongono come economicamente sostenibili, molto efficaci e replicabili in grandi numeri. Con il costo della Ford si realizzano 10 Trieste e 3 Queen Elisabeth[14].

La Terza Portaerei già dal tavolo da disegno sta affrontando le sue prime sfide. Parliamo di una nave che rimarrà in linea fino alla fine del secolo e di cui è impossibile vedere oltre la nebbia.


Note e riferimenti bibliografici:

[1] Legge n° 36 del 1 febbraio 1989

[2] https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/notiziario/Documents/speciali/2013_04_WhiteCrane.pdf

[3] https://www.ansa.it/mare/notizie/rubriche/uominiemare/2011/07/07/visualizza_new.html_788759422.html

[4] https://aresdifesa.it/site-activation-della-lhd-trieste-per-le-operazioni-con-gli-f-35b/

[5] https://svppbellum.blogspot.com/2022/10/marina-militare-italiana-la-landing.html

[6] https://comunicazione.camera.it/archivio-prima-pagina/19-28864

[7] https://www.reuters.com/world/us/trumps-vision-twin-engine-f-55-fighter-jet-faces-reality-check-2025-06-09/

[8] https://www.twz.com/air/pentagon-wants-to-shift-funds-from-navy-f-a-xx-to-usaf-f-47-report

[9] https://www.navylookout.com/in-focus-frances-future-aircraft-carrier/

[10] https://ukdefencejournal.org.uk/door-remains-open-for-aircraft-carrier-upgrades/

[11] https://scenarieconomici.it/portaerei-nucleare-italia-strategia-marina-militare-futuro/

[12] https://www.centromachiavelli.com/2024/08/08/presentato-caccia-gcap/

[13] https://it.wikipedia.org/wiki/ZPMC

[14] https://www.informatorenavale.it/news/il-costo-delle-portaerei-statunitensi-non-e-attendibile-afferma-lagenzia-di-responsabilita-del-governo/

  • (Toscana, 1975) Giornalista Pubblicista dal 2005 ha all'attivo collaborazioni con varie testate locali e gruppi stampa.
    Ha gestito un blog e ha prodotto una trilogia di articoli su Ares Osservatorio Difesa incentrati sull’impiego dual use delle tecnologie per la difesa.
    Esperto di Protezione Civile è nel Consiglio Nazionale dell’Associazione Nazionale Disaster Manager.
    Opera attivamente nel volontariato da oltre 25 anni.

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