Se gli USA si sfilano, Turchia pronta a guidare la NATO
Il documento di 33 pagine prodotto a inizio dicembre 2025 dall’Amministrazione della Casa Bianca, che rispolvera l’antica Dottrina Monroe escludendo ogni forma di intervento americano in Europa parlando ora di “Corollario Trump”, apre uno squarcio inedito.
Pieno di rischi, ma pure di possibilità. Non solo nei rapporti fra Stati Uniti ed Europa, attualmente pessimi, ma soprattutto su chi sarà alla guida dell’Alleanza Atlantica quando, dal 2027, cioè fra solo un anno, Washington non sarà più il maggior fornitore della difesa occidentale. Come stanno spiegando in questi giorni frenetici i funzionari americani agli sbigottiti ex partner europei, gli Usa vogliono infatti concentrarsi sul quadrante dell’Indo Pacifico (leggi: la Cina e le enormi opportunità di quell’epicentro geografico di potere), ed essendo adesso questa la loro priorità non sono più in grado di combattere due guerre contemporaneamente.
Ergo: il trasferimento delle responsabilità agli europei nella gestione degli strumenti di difesa convenzionale, come si legge nel documento della National Security Strategy, è “non negoziabile”. Europa, quindi, addio. Gli Stati Uniti ce lo stanno dicendo da tempo in tutte le salse, mentre noi (anche in Italia) continuiamo a considerarli e descriverli come i nostri alleati. Errore capitale.
La NATO è all’improvviso di fronte a uno scenario inaspettato. Perché il Paese oggi più forte e attrezzato dopo gli Usa all’interno dell’Alleanza atlantica, sia da un punto di vista numerico come volume di soldati, sia come potenza militare effettiva (la Turchia è di fatto un Paese militare, fin dalla scuola), non è neppure un membro dell’Unione Europea. Ma un Paese che da più di mezzo secolo bussa alla porta per entrare nella UE, al quale è stato fatto capire in tutte le maniere, pure in modo sgarbato, di non essere ben accetto. E che così, da qualche anno, si è liberato dal “sogno europeo” trasformandosi in una potenza riconosciuta, capace di muoversi come un elettrone libero.
Libero anche di accasarsi dove più gli piace, e dunque di guardarsi intorno a 360 gradi, dall’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) che unisce Stati come Cina, Russia, India, Pakistan, Iran, ai sempre più allargati e dotati Brics (dal Brasile al Sudafrica). Questo Paese è appunto la Turchia, che ha tutto per costituire la vera alternativa alla testa della NATO (di cui fa parte, come bastione fedelissimo, fin dal lontano 1952), nel momento in cui l’America dal 1° gennaio 2027 si sfilerà da un’alleanza che l’ha vista protagonista dal 1949, quando il Patto Atlantico venne costituito come sistema occidentale di difesa collettivo.
Il 2025 si chiude con Ankara come unico Paese capace di ottenere successi concreti sul piano internazionale. Sbaragliando tutti i concorrenti: riducendo il ruolo dell’Europa, ponendosi sullo stesso livello degli Usa per intenzioni di espansione (ma ben più credibile rispetto ai fantasmagorici progetti su Panama, Groenlandia e Golfo del Messico), spostando di lato la Russia nei quadranti decisivi dove entrambe rivaleggiano (Siria, Libia, Caucaso), competendo ormai direttamente in Africa con la Cina su commercio e istruzione, infine superando l’Iran ormai sotto schiaffo nel costituire il solo vero avversario che Israele si trova di fronte in Medio Oriente.
Le vittorie arrivate anche in battaglia su tutti questi scacchieri vanno di pari passo con inattesi, ma ben preparati, successi in diplomazia. A novembre Ankara ha concluso uno storico accordo con il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), chiudendo una guerra interna quarantennale e facendosi consegnare le armi dai separatisti curdi. Incredibile che a raggiungere questa intesa sia stato, sotto la regia del presidente Recep Tayyip Erdogan, il suo alleato nella maggioranza che sostiene il governo conservatore di ispirazione religiosa, quel Devlet Bahceli leader del Movimento di azione nazionalista che si richiama ai famigerati Lupi grigi.
E a proposito di Lupi grigi, e di Mehmet Ali Agca che nel 1981 ferì Papa Wojtyla a Piazza San Pietro in un attentato di cui solo ora si chiariscono meglio dinamiche e mandanti, l’ex terrorista è spuntato a sorpresa il 28 novembre a Nicea per la visita di Papa Leone XIV per i 1700 del Concilio. Significativo il fatto che il nuovo Pontefice abbia scelto la Turchia come primo Paese per il suo esordio all’estero, andando ad Ankara a stringere la mano a Erdogan, il quale, dopo l’accordo con i curdi, punta a cambiare la Costituzione e a rimanere per un terzo mandato alla testa dello Stato, e dunque a vita.
In realtà la Turchia ha fatto dell’hard power il suo strumento di persuasione più importante. Con un’espansione doppia, sui mari e sui cieli. Attraverso la teoria innovativa della “Patria Blu”, tesa ad allargare il territorio turco su tutte le acque circostanti, fino a erodere sostanziose parti di Mediterraneo orientale (l’ex Mare Nostrum), di Mar Nero (ora zona di guerra fra Russia e Ucraina), e di Mare Egeo (dove la Grecia si trova in chiara difficoltà).
E attraverso la diffusione internazionale dei droni Bayraktar, i “gioielli di famiglia” (appartengono al marito della seconda figlia di Erdogan), divenuti leader mondiali del settore perché conducono e vincono le guerre (ecco l’accordo recente con Leonardo), oltre che con le molteplici innovazioni sul campo tecnologico e militare (dal 2028 scatterà la produzione dei nuovi caccia turchi Kaan, multiruolo e di quinta generazione, che supereranno gli F-35 di cui gli Usa hanno bloccato la vendita ad Ankara).
È anche ovvio per tutti gli osservatori che la Turchia soffre di evidenti problemi interni. Che riguardano in primis le limitazioni alla piena espressione dei diritti (l’opposizione continua ad avere in carcere i propri massimi esponenti, fra cui il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, unico vincitore di Erdogan alle elezioni amministrative, per il quale sono stati chiesti poco credibilmente 2532 anni di reclusione, oltre a masse di intellettuali in cella), e l’economia (inflazione sempre alta, con il Qatar a pompare denaro liquido in cambio di sostegno militare).
I dubbi sulla consegna della NATO alla Turchia sono perciò molti. Erdogan ha risvegliato nel proprio popolo l’antico sangue imperiale (evidente pure nelle fortunate serie tv che piazzano Ankara come secondo produttore al mondo dopo gli Usa), e il suo nuovo Impero ottomano è consapevole della forza che sarà in grado di esprimere nel futuro più immediato. Al Ministero degli Esteri della capitale, guidato dall’ex capo dell’intelligence Hakan Fidan, ora in tutto e per tutto numero due di Erdogan, ci si attrezza alla nuova ipotesi. Nei centri studi di Istanbul si studiano tutte le variabili.
Paradossale che a candidarsi a guidare la NATO sia un Paese non europeo, rifiutato per decenni dagli europei, i quali ora devono però prepararsi a recitare il mea culpa e rivolgersi alla Turchia, nudi e scoperti come si trovano improvvisamente a essere sulla Difesa.
O l’Europa si sveglia, dotandosi di una propria tutela, o sarà inevitabile telefonare (con tutte le conseguenze) ad Ankara. Prefisso: 0090 (la paura).




La grande comunicazione si è soffermata unicamente sul rapporto Usa – Ue. È un piacere leggere un autore, che con una punta di ironia, suggerisce una chiave di lettura inedita.
Turchia oggi in effetti unica potenza militare credibile nella NATO dopo gli USA; membri europei sopiti e non all’altezza da troppo tempo.
Non credo tuttavia che la Turchia possa prendere il comando di quel che resterà della NATO (sì invece che possa giocare ruolo cruciale regionale nelle aree di suo interesse, come già fa).
Europa purtroppo oggi soggetto geopoliticamente irrilevante.
Urge riforma UE, ma nessun risveglio o scatto in avanti visibile all’orizzonte.
Cina nuova superpotenza silenziosa. USA in declino. Ordine mondiale in riassetto con nuove potenze regionali (India, pezzi di Asia, America ed Africa, inclusa la Turchia).