Tunisia: dalle “Primavere Arabe” all’iperpresidenzialismo di Saied
Dalla “Primavere Arabe” alla nuova Costituzione
Nel 2022 un referendum promosso dal presidente Kais Saied ha sancito l’adozione di una nuova Costituzione, destinata a rafforzare in modo significativo i poteri del Capo dello Stato e ad imprimere al paese un deciso cambio di passo sul piano istituzionale e politico. Il nuovo testo costituzionale ha sostituito la Carta approvata dopo la Primavera araba del 2011.
Il progressivo arretramento della Tunisia rispetto a quel percorso non è avvenuto improvvisamente, ma è stato l’esito di un processo sviluppatosi nel corso di diversi anni. I governi succedutisi dopo il 2011 non sono riusciti a risolvere alcune criticità strutturali del paese, in particolare sul fronte economico, alimentando un crescente malcontento ed una diffusa perdita di fiducia nelle istituzioni democratiche: questo contesto ha favorito l’ascesa politica di Kais Saied, eletto presidente nel 2019 con un profilo populista ed una visione fortemente accentratrice del potere.
Le cosiddette “Primavere arabe” indicarono l’ampia stagione di proteste e rivolte che interessò numerosi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Tra gli Stati coinvolti, la Tunisia venne spesso considerata quello che riuscì a consolidare in modo relativamente più solido e duraturo un nuovo sistema, oltre ad essere il luogo in cui la sequenza di mobilitazioni ebbe origine.

Ad innescare le proteste fu un episodio destinato ad avere un forte impatto simbolico: il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi[1], un giovane venditore ambulante tunisino, si tolse la vita dandosi fuoco dopo che la polizia locale gli aveva sequestrato il banco di frutta, l’ennesimo atto repressivo in una lunga serie di vessazioni subite da parte delle autorità. Il suo gesto suscitò un’ondata di indignazione e di protesta che si diffuse rapidamente in Tunisia e, successivamente, in altri paesi arabi, dove ampie fasce della popolazione scesero in piazza per chiedere la fine di governi radicati da decenni. In Tunisia il potere era allora concentrato nelle mani del presidente Zine El-Abidine Ben Ali[2], al governo dal 1987.
Dopo la caduta di Ben Ali, il paese intraprese un percorso complesso e segnato da numerose difficoltà verso la costruzione di un sistema democratico, caratterizzato da riforme istituzionali e da una progressiva espansione delle libertà politiche. Un passaggio cruciale fu rappresentato dalle elezioni parlamentari del 2011, le prime consultazioni libere dalla proclamazione dell’indipendenza dalla Francia nel 1956: in quell’occasione si affermò il partito islamista moderato Ennahda[3], a lungo messo fuori legge durante l’era Ben Ali, che emerse come la principale forza politica tunisina.
Nel 2014, al termine di un confronto politico durato circa due anni, le principali forze del Paese raggiunsero un’intesa che portò all’adozione di una nuova Carta costituzionale. Quel testo segnò una svolta istituzionale significativa: limitò le prerogative del Capo dello Stato, rafforzò il ruolo del Parlamento e dell’ordine giudiziario e sancì una serie di diritti fondamentali, tra cui la libertà di espressione, di protesta e l’ampliamento delle libertà civili.
Grazie a questo percorso, la Tunisia venne indicata a livello internazionale come un esempio virtuoso nel mondo arabo e ricevette importanti attestati di riconoscimento. Tra questi, l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace al cosiddetto “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino”[4], composto da quattro organizzazioni della società civile che svolsero un ruolo decisivo nel favorire la transizione democratica.
Dopo il 2011, sulla transizione democratica tunisina si concentrarono aspettative molto elevate: si confidava nella capacità delle nuove istituzioni di consolidarsi, di rafforzare il sistema politico e di affrontare una serie di nodi irrisolti emersi all’indomani delle rivolte. Tra questi figuravano un parlamento fortemente frammentato, nel quale l’unità delle forze che avevano contribuito alla caduta di Zine El-Abidine Ben Ali appariva sempre più fragile, una situazione economica compromessa e problemi strutturali come la corruzione e le profonde disuguaglianze sociali. In larga misura, si trattava delle stesse criticità che avevano alimentato la mobilitazione popolare del 2011 e che molti cittadini si aspettavano venissero finalmente risolte dal nuovo assetto politico.
Queste aspettative non trovarono riscontro nei fatti. Negli anni successivi, l’economia tunisina continuò a deteriorarsi: l’inflazione aumentò, il disavanzo pubblico si ampliò, il debito dello Stato crebbe, la disoccupazione rimase su livelli elevati ed il prodotto interno lordo registrò un calo. Un sondaggio condotto nel 2014 dal Pew Research Center[5] indicò proprio nella crisi economica e nella diffusa percezione dell’incapacità del governo di gestirla una delle principali ragioni del progressivo indebolimento della fiducia dei cittadini.
Parallelamente, anche il quadro politico restò instabile. Nel 2016 il primo ministro Habib Essid[6], figura indipendente alla guida di una coalizione eterogenea, fu sfiduciato dal parlamento con l’accusa di non essere riuscito a rispondere in modo efficace alle difficoltà economiche del paese, e fu quindi costretto alle dimissioni. La fase successiva non portò a una stabilizzazione: l’esecutivo guidato da Youssef Chahed[7], esponente del partito laico Nidaa Tounes[8], dovette affrontare ampie proteste popolari, talvolta sfociate in episodi di violenza, in seguito all’introduzione di nuovi aumenti fiscali.
In questo contesto, come osserva l’analista tunisino Youssef Cherif[9], le forze politiche del paese si dimostrarono strutturalmente fragili. La loro azione non risultò sufficientemente incisiva per costruire e consolidare un legame stabile con l’elettorato, che progressivamente iniziò a percepirsi meno rappresentato. Nemmeno Ennahda, protagonista assoluta della fase immediatamente successiva alla rivoluzione, riuscì a tradurre il proprio peso politico in esecutivi solidi, capaci di garantire continuità di governo e di portare avanti le riforme considerate necessarie per il rilancio del paese.
Queste difficoltà emersero in modo evidente in occasione delle elezioni amministrative del 2018, le prime consultazioni locali tenutesi dopo le rivolte del 2011. Il voto fu segnato da un’affluenza particolarmente contenuta, un dato attribuibile in larga parte alla crescente disillusione di una fetta significativa della popolazione nei confronti della classe politica e delle istituzioni.
L’elezione di Kais Saied[10] alla presidenza della Tunisia nel 2019 si inserisce in questo quadro: professore di diritto costituzionale, si candidò come indipendente, privo di qualsiasi esperienza politica precedente. Proprio questa distanza dai partiti tradizionali divenne uno dei punti di forza della sua campagna: si presentò come una figura nuova, integerrima e non coinvolta nei meccanismi del potere, promettendo una lotta decisa alla corruzione e soluzioni concrete alle difficoltà economiche e sociali del paese. A colpire l’elettorato furono soprattutto questi elementi, più che le sue posizioni conservatrici su temi legati ai diritti civili e alle libertà politiche.
Negli anni successivi Saied ha progressivamente eroso le istituzioni tunisine: il passaggio decisivo è avvenuto il 25 luglio 2021, quando ha destituito il primo ministro, sospeso le attività del parlamento ed accentrato nelle proprie mani le funzioni esecutive. Da quel momento ha iniziato a governare tramite decreti, in una dinamica che i suoi oppositori hanno definito apertamente un colpo di stato.
In seguito, il presidente ha ridotto l’indipendenza della magistratura, sciolto il Consiglio superiore della magistratura ed adottato misure di emergenza che gli consentivano di legiferare senza i vincoli previsti dalla Costituzione allora in vigore. Parallelamente, le autorità hanno represso con la forza le manifestazioni di protesta, arrestato diversi esponenti dell’opposizione e rimosso numerosi giudici ritenuti critici nei confronti del Capo dello Stato.
L’abolizione dell’uso degli assegni e la riforma del Codice del lavoro
La dinamica iper-presidenzialista si è progressivamente consolidata. Le due assemblee parlamentari istituite con la Costituzione del 2022 svolgono oggi un ruolo sostanzialmente marginale: l’attività legislativa si limita in larga parte a ratificare testi elaborati direttamente dalla presidenza, con spazi di confronto interno ridotti al minimo. Questa impostazione è emersa chiaramente sia durante l’approvazione della legge di bilancio, nel dicembre 2024, sia nei primi mesi del 2025, quando il Parlamento ha dato il via libera a due provvedimenti considerati prioritari dal presidente: l’abolizione dell’uso degli assegni e la riforma del Codice del lavoro.
Il primo intervento normativo, entrato in vigore negli ultimi mesi, trae origine da una richiesta avanzata da alcuni elettori direttamente a Saïed nel corso della campagna elettorale dell’estate precedente. La domanda iniziale riguardava un aspetto circoscritto, ossia l’eliminazione delle pene detentive per l’emissione di assegni a vuoto: l’approvazione della legge ha avuto effetti rilevanti sulla vita quotidiana di molti cittadini, che ricorrevano agli assegni anche per il pagamento di beni e servizi, spesso facendo uso del credito. La loro abolizione ha spinto una parte significativa della popolazione verso un utilizzo intensivo del contante.

In assenza di misure parallele in grado di favorire la diffusione dei pagamenti elettronici e con carta, sono già emerse alcune conseguenze economiche tangibili: tra queste figurano l’espansione del mercato informale, l’aumento dei prelievi bancari ed una maggiore circolazione di banconote.
La riforma del Codice del lavoro entrata in vigore nel mese di maggio ha introdotto cambiamenti radicali nel mercato del lavoro, ponendo fine all’utilizzo della manodopera in subappalto e cancellando la possibilità di ricorrere a contratti a tempo determinato. La misura viene presentata dalle autorità come uno strumento per contrastare il lavoro precario e prevenire nuove forme di sfruttamento, spesso definite come “schiavitù moderna”.
Le prime ricadute negative della normativa si sono già manifestate in uno dei settori trainanti dell’economia nazionale, quello turistico. Nelle strutture alberghiere e balneari, che fanno largo uso di manodopera stagionale, si sono registrati, già alla fine di maggio, numerosi licenziamenti preventivi.
Nel quadro di una congiuntura economica ancora complessa, il turismo si conferma il settore con le prospettive più incoraggianti: è infatti l’unico ambito che continua a registrare segnali di crescita costante. Secondo i dati diffusi all’inizio di giugno, dall’inizio dell’anno sono stati accolti 3,4 milioni di visitatori, con un aumento del 10,2% rispetto allo stesso periodo del 2024. Particolarmente significativo l’incremento dei turisti italiani, cresciuti di circa il 20%.
La politica interna
Nel panorama politico tunisino, lo spazio per l’opposizione appare estremamente ridotto. I vertici dei due principali partiti critici verso l’operato presidenziale, Ennahda ed il Partito desturiano libero (Pdl)[11], restano infatti detenuti. Rachid Ghannouchi[12], leader storico dell’islamista Ennahda, ottantatreenne, è in carcere dall’aprile 2023 e deve scontare condanne complessive superiori ai vent’anni. Anche Abir Moussi[13], avvocato e presidente del Pdl, formazione che si richiama all’eredità politica di Habib Bourguiba[14], è detenuta dall’ottobre 2023: la sua condanna a due anni di reclusione è legata alle critiche rivolte all’Isie, l’Istanza superiore indipendente per le elezioni, ed è stata emessa in applicazione del decreto-legge presidenziale 2022-54[15], che criminalizza la diffusione di notizie considerate false.
Secondo la Lega tunisina per i diritti umani, all’inizio dell’anno circa 400 persone – tra giornalisti, blogger, avvocati e cittadini comuni – risultavano ancora incarcerate in virtù di questa normativa.

Relazioni internazionali
L’orientamento del presidente privilegia il rafforzamento dei rapporti con l’Algeria a scapito del Marocco e si accompagna ad una posizione nettamente schierata a favore della causa palestinese. Un segnale in tal senso è arrivato in occasione della festività dell’Eid, quando Saied ha rivolto gli auguri ufficiali soltanto a due Capi di Stato: il presidente algerino Abdelmajdid Tebboune[16] e quello iraniano Masoud Pezeshkhian[17].
Proprio in quel contesto, secondo alcune ricostruzioni, Tebboune avrebbe sollecitato Tunisi ad ospitare alcuni esponenti del Fronte Polisario[18], nel tentativo di evitare che l’Algeria potesse essere accusata di sostenere direttamente il movimento saharawi. La richiesta, almeno per ora, non avrebbe avuto seguito. Un’eventuale accoglienza di membri del Polisario, tuttavia, rischierebbe di riaccendere le tensioni con Rabat, come avvenne nell’agosto del 2022, quando la presenza a Tunisi del leader indipendentista Brahim Ghali[19], ricevuto con tutti gli onori ufficiali, provocò una grave crisi diplomatica con il Marocco.

Parallelamente, si sono consolidate le relazioni con l’Iran, avviate circa un anno fa con la partecipazione del presidente tunisino ai funerali dell’ex Capo di Stato iraniano Ebrahim Raisi[20] e rafforzate da successivi contatti tra delegazioni parlamentari. Questa vicinanza è emersa con chiarezza durante il conflitto tra Israele ed Iran del giugno 2025, quando la Tunisia si è distinta tra i primi Paesi a condannare l’offensiva israeliana e, in seguito, quella statunitense, pur scegliendo di non aderire all’iniziativa diplomatica congiunta promossa dalla Lega araba sotto la guida dell’Egitto.
La crisi economica
Resta aperta la grave crisi esplosa nel 2022, innescata dall’impatto della pandemia e dall’inizio del conflitto in Ucraina, ma radicata in una fragilità strutturale che precede di anni questi eventi. Il debito pubblico, stimato tra l’80 ed il 90% del Pil, rimane elevato e si accompagna allo stallo delle trattative con il Fondo monetario internazionale per l’erogazione dei 1,9 miliardi di dollari previsti dall’accordo siglato nel 2023. Nonostante la presidenza continui a fare affidamento sul sostegno della Banca centrale tunisina per finanziare il debito, l’assenza di un programma alimenta le preoccupazioni sulla tenuta della stabilità economica e sul rischio di insolvenza. Una situazione che continua a pesare sulla fiducia degli investitori, sia nazionali sia stranieri.

Il Fondo monetario internazionale
Nell’ottobre 2022 la Tunisia guidata da Saied aveva raggiunto un’intesa preliminare a livello tecnico con il Fondo monetario internazionale, nell’ambito del programma Extended Fund Facility. L’accordo prevedeva un finanziamento da 1,9 miliardi di dollari, subordinato all’attuazione di un ampio pacchetto di riforme economiche, tra cui la revisione del sistema dei sussidi, l’emersione del settore informale, il ridimensionamento dell’apparato pubblico e la privatizzazione di alcune imprese statali. Tuttavia, nell’aprile 2023 il presidente tunisino decise di respingere il piano, motivando la scelta con il timore delle conseguenze sociali delle misure richieste e denunciando quelli che definiva i “diktat” dell’istituzione finanziaria internazionale. L’accordo prevedeva un sostegno finanziario di 150 milioni di euro al bilancio statale tunisino, oltre a 105 milioni destinati alla cooperazione in materia migratoria. A queste risorse si sarebbero potuti aggiungere ulteriori 900 milioni di euro, subordinati però alla conclusione di un accordo con il Fondo monetario internazionale, che a distanza di oltre tre anni dall’intesa preliminare non è mai stato finalizzato.
Parallelamente, l’intervento della banca centrale ha modificato la composizione del debito. La quota detenuta da soggetti nazionali è aumentata rapidamente, passando dal 29,7% del totale nel 2019 al 51,7% registrato nell’agosto dello scorso anno, segnalando una crescente internalizzazione dell’indebitamento ed un’ulteriore esposizione del sistema finanziario domestico.
Riferimenti bibliografici:
- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tunisia-che-fine-ha-fatto-ennahda-203329
- https://www.ilpost.it/2014/12/19/tunisia-paese-dell-anno-economist/
- https://www.ilpost.it/2019/01/06/tunisia-proteste-rivoluzione/
- https://www.ilpost.it/2022/07/25/tunisia-referendum-nuova-costituzione/
- https://www.ilpost.it/2022/07/27/tunisia-ritorno-autoritarismo/
- https://www.pewresearch.org/global/2014/10/15/tunisia-survey-methods-2/
- https://www.agenzianova.com/news/tunisia-fitch-premia-le-politiche-di-kais-saied-leconomia-cresce-ma-restano-sfide/
- https://www.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/economia/2025/11/11/tunisia-leconomia-di-rendita-un-ostacolo-alla-crescita_aceee0fa-fe81-4e21-9348-5df4b3d0474e.html
- https://www.nigrizia.it/notizia/tunisia-cosi-saied-smantellato-democrazia
- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tunisia-liper-presidenzialismo-di-saied-214232
- https://www.notiziegeopolitiche.net/tunisia-lue-accusa-la-compressione-della-liberta-di-espressione-saied-la-butta-sulla-sovranita/
- https://www.notiziegeopolitiche.net/tunisia-arrestato-chebbi-leader-storico-dellopposizione/
- https://www.notiziegeopolitiche.net/tunisia-la-societa-civile-sotto-assedio-il-ritorno-del-controllo-politico/
- https://www.nigrizia.it/notizia/tunisia-saied-chennaoui-ong-sospese-diritti-liberta-espressione
- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tunisia-il-conto-di-saied-224451
- https://www.notiziegeopolitiche.net/tunisia-ghannouchi-condannato-autoritarismo-contro-lislam-politico/
Note:
- [1] https://it.wikipedia.org/wiki/Mohamed_Bouazizi
- [2] https://it.wikipedia.org/wiki/Zine_El-Abidine_Ben_Ali
- [3] https://it.wikipedia.org/wiki/Ennahda
- [4] https://www.ilpost.it/2015/10/09/quartetto-per-il-dialogo-nazionale-tunisino/
- [5] https://www.pewresearch.org/global/2014/10/15/tunisian-confidence-in-democracy-wanes/
- [6] https://it.wikipedia.org/wiki/Habib_Essid
- [7] https://en.wikipedia.org/wiki/Youssef_Chahed
- [8] https://it.wikipedia.org/wiki/Nidaa_Tounes
- [9] https://podcasts.apple.com/gb/podcast/the-tunisian-political-crisis-the-end-of-democracy/id981524448?i=1000543096234
- [10] https://it.wikipedia.org/wiki/Ka%C3%AFs_Sa%C3%AFed
- [11] https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Socialista_Desturiano
- [12] https://it.wikipedia.org/wiki/Rashid_Ghannushi
- [13] https://en.wikipedia.org/wiki/Abir_Moussi
- [14] https://it.wikipedia.org/wiki/Habib_Bourguiba
- [15] https://www.diritticomparati.it/lautoritarismo-da-manuale-di-kais-saied-alla-ricerca-di-una-consacrazione-democratica/
- [16] https://it.wikipedia.org/wiki/Abdelmadjid_Tebboune
- [17] https://it.wikipedia.org/wiki/Masoud_Pezeshkian
- [18] https://it.wikipedia.org/wiki/Fronte_Polisario
- [19] https://it.wikipedia.org/wiki/Brahim_Ghali
- [20] https://it.wikipedia.org/wiki/Ebrahim_Raisi




