La crisi della comunità di diritto internazionale ed europea.
Verso un nuovo ordine internazionale ed europeo? Alcune riflessioni minime.
La congiuntura della comunità internazionale
La crisi della comunità internazionale: la tendenza al c.d. sovranismo
La comunità internazionale sta cambiando anzitutto per quanto riguarda i suoi profili generali riconducibili al mantenimento della pace ed alla tutela dei diritti umani: la crisi di credibilità dell’Onu ed in genere delle sue agenzie determina una carenza di tutela che implica correzioni davvero gravi; così la crisi della tutela dei diritti umani, specialmente nel campo più delicato dei crimini internazionali, mette in secondo piano la Corte penale internazionale e le sue determinazioni.
Ma ancora più gravi sono le conseguenze della crisi del multilateralismo sul piano del governo dell’economia. Un equilibrio delicatissimo costruito negli anni 40 sulla scorta dei grandi economisti del tempo che ha influenzato la seconda parte del 900 dapprima con il Gatt quindi con la Wto[1]. Alla base di questo ordine si configurava un mondo ispirato al principio di “libertà regolata”, una “economia sociale di mercato” dove il pubblico garantiva che il commercio avesse luogo nel rispetto di alcune regole di base. Un modello ripreso con la Comunità europea (i. libertà economiche e concorrenza, ii. abolizione dei dazi ed un iii. ordinamento “di nuovo genere) che presupponeva, tuttavia, le regole internazionali.”[2]
Questo mondo, indubbiamente, non funziona più. Da un lato le spinte che vengono dai Paesi “antagonisti”, raccolti nei Brics, mettono avanti un nuovo ordine mondiale di segno assai meno “liberista”, e molto più “imperialista” che esalta la sovranità nazionale. Dall’altro lato gli Stati Uniti hanno rotto l’alleanza occidentale, e quindi il modello di economia sociale di mercato di Bretton Woods, contribuendo in modo decisivo, con Russia e Cina, a mettere in dubbio l’Onu e le sue agenzie, il Wto, la Corte penale internazionale e il regime di libertà dei mari di cui alla Convenzione di Montego Bay. Ovvio che senza Onu e sue agenzie ed istituti, Wto e Unclos, la stessa Unione europea entra in crisi siccome impostata su due grandi “piloni” (il mercato unico e la concorrenza) che presuppongono appunto l’ordinamento superiore senza l’unificazione della politica economica ed estera.
Ne deriva un processo per il quale, essendo debole il diritto internazionale, si espande l’”interesse nazionale”, spesso di segno imperialista, e quindi il ruolo degli Stati principali sia nel governo del mondo sia nella redistribuzione dei territori di influenza. Con la conseguenza dello strutturarsi di un diritto interno che promuove l’”interesse nazionale” in larga parte attraverso strumenti che impediscono lo svolgimento del mercato (si pensi al regime delle sanzioni, che serve anche per redirigere l’economia, agli strumenti selettivi come Golden Power ecc. amministrati sempre a livello domestico). In senso più ampio, gli ordinamenti nazionali tendono ad usare, a ben vedere, strumenti come le “norme di applicazione necessaria” e le “lois de police” per impedire il riconoscimento del diritto straniero[3].
Senza preoccuparsi, come un tempo la migliore dottrina auspicava, di un coordinamento e specialmente del riconoscimento del diritto straniero. Ma si pensi anche al superamento dei tradizionali principi sulla pubblica amministrazione, sul servizio pubblico e sulla regolazione oltre al crescente intervento dello stato nell’economia (si consideri l’analisi di Mariana Mazzuccato[4]). Sul piano del diritto internazionale ritorna centrale il pensiero di Carl Schmitt[5] se si pensa allo “stato di eccezione” in chiave di sostituzione delle regole internazionali.
I segnali discontinui di fiducia nel diritto internazionale (inesistente)
Mentre la comunità internazionale evidenzia le indicate criticità, che segnano decisive lacune nell’ordinamento vigente e una espansione dei presidi di sovranità nazionale, una società complessa segnala viceversa il profilarsi di tendenze di segno assolutamente opposto che in realtà evocherebbero una indiscussa fiducia proprio nel diritto internazionale. Sarà perché lo si rimpiange, ma sempre più spesso pezzi della società invocano il diritto internazionale come se davvero esistesse a loro piacimento: e finanche al di là dei suoi contenuti. Il diritto internazionale o suoi singoli istituti diventano così dei veri e propri slogan / loopholes persino disarticolati dalle originarie figure.
Si pensi alla figura della c.d. “pace giusta” in funzione della promozione del diritto internazionale. È evidente che la pace descrive una situazione di assenza di conflitti che in genere si consegue indipendentemente dai contenuti degli accordi che pongono fine alla guerra. Se al termine pace si aggiunge l’aggettivo “giusta” si intende forse che non qualunque intesa che ponga fine al conflitto sarebbe accettabile, ma solo quelle intese che, ad esempio, rispecchiamo alcuni contenuti minimi senza i quali non avrebbero effetto. Al di là del dubbio su chi può arrogarsi la determinazione del giusto.
Si pensi poi all’uso del termine “genocidio”, usato prevalentemente specie da politici e commentatori. Un crimine personale, e non di Stato, che presuppone un giudizio penale corredato ovviamente delle strutture di difesa oltre che l’esistenza di requisiti soggettivi ed oggettivi particolari. Perché ricorrere, ad esempio, nel caso di Israele, a questa figura quando il parallelo strumento dei crimini internazionali, oltretutto punito in modo identico, pare meno problematico?
In alcuni casi la fiducia nel diritto internazionale genera curiose reazioni. Si pensi ad un’azione di danni nei confronti della polizia russa o della polizia israeliana, o dei giudici di questi Paesi, in relazione ad azioni di mantenimento dell’ordine pubblico nei territori occupati. Davvero qualcuno pensa che il diritto civile o penale di un paese terzo possa occuparsi delle vicende che connotano l’ordinario dispiegarsi della sovranità all’estero solo perché l’art.117 della nostra Costituzione assegna un ruolo centrale al diritto internazionale ai fini della validità dell’azione legislativa italiana?
E neppure preoccupandosi di verificare quale sia il modo di essere e l’efficacia nel foro del diritto straniero (integrato dal diritto internazionale) applicabile alla sfera pubblicistica. Davvero si dà tanta importanza al diritto internazionale (in crisi) da utilizzarlo addirittura come parametro di legittimità esorbitante ed all’estero persino al di là dei principi sulle immunità statali e dei funzionari? Senza considerare la pretesa di disconoscere il diritto straniero che, ad esempio, regga una relazione fra privati (un contratto o un rapporto di famiglia) per il solo fatto che sarebbe amministrato da un paese che ha acquisito in modo illecito il controllo del territorio dove la relazione medesima e radicata (la lex loci)?
Ed ancora, non ci facciamo mancare nulla quanto tutti si usa il termine di “riconoscimento” di uno Stato straniero non perché si intenda confermare la disponibilità ad intrattenere relazioni con detto Stato, ma come auspicio a che uno Stato si costituisca pur in assenza dei requisiti essenziali. Perché vi sia riconoscimento, non dimentichiamolo, è necessario che lo Stato riconosciuto esista: non nella visione politica degli altri Stati ma perché presenta le caratteristiche imposte dal diritto internazionale generale.
I tentativi di ricostruzione
Nuove regole minime
In un contesto molto caotico e di conflitto ideologico, che ignora le regole, vengono dagli attori principali sulla scena mondiale segni di attenzione ad un nuovo “diritto” che, magari su un livello meno ambizioso (e cioè rinunciandosi ad un po’ di comunità di diritto), introduca alcune regole di base per il funzionamento della comunità internazionale. Insomma, una comunità di diritto, certo meno forte e profonda di quella che si è formata nel corso del 900, ma almeno più presidiata. Si dovranno, in particolare, riscrivere alcune regole, probabilmente con una chiave di segno imperialista/sovranista, ma specialmente si dovranno presidiare meglio istituzioni come l’Onu e le sue agenzie. Inoltre, come auspicano le rappresentanze diplomatiche all’Onu della Santa Sede, sembra inevitabile si regoli il debito dei Paesi più poveri.
Le proposte cinesi in occasione della recente conferenza di Tianjin, che uniscono la visione di tutti i Paesi Brics, ancora molto generiche, dovranno inevitabilmente incontrarsi con quelle un po’ meno fiduciose nei confronti del multilateralismo di Stati Uniti e dei Paesi suoi alleati come i Paesi Arabi, il Giappone, e la Turchia. È troppo presto per anticipare le linee di questa evoluzione: ma è chiaro che, seppure in modo asimmetrico, il cantiere delle riforme che disegneranno la nuova comunità internazionale post liberista a post occidentale è aperto.
Quanto pare chiaro, in questa convulsa fase della comunità internazionale, è la incapacità dell’Unione europea di essere presente per presidiare i propri valori tradizionali, si tratti dei diritti fondamentali, della regola di diritto e del modello impostato sulle libertà economiche.
La ripartizione dell’influenza nel mondo
In quel contesto è molto probabile che si avanzeranno precise proposte per ripartire le aree di influenza del mondo probabilmente assegnando l’Europa agli Stati Uniti, dividendo l’Africa fra Stati Uniti, Russia e Cina, assegnando alla Russia l’Ucraina ed un pezzo del Medio Oriente (Iran, Afghanistan, Siria ecc.) e collocando il Far East nella dimensione cinese. Facile immaginare che giocheranno un ruolo importante i Paesi Arabi, l’India e la Turchia.
Le rotte mondiali
Anche le vie marittime subiranno una rivoluzione in attuazione di nuove regole sul diritto del mare. A fianco della rotta che circumnaviga l’Africa, del tutto logica alla luce del ruolo strategico che quel continente svolgerà, servito da vari porti e terminal militari verso l’oceano atlantico e verso l’oceano Indiano, probabilmente si svilupperà, malgrado i dubbi di varie compagnie europee, la Northern Sea Route (NSR), inaugurata proprio di questi tempi con l’Arctic Service, al cui delicato funzionamento provvederà più di tutti la Russia e che si attesterà su Kaliningrad nel Mar Baltico o su Arcangelo nel Mar Bianco. Restano i dubbi sul canale di Suez e sulla sua effettiva utilizzazione sotto il profilo commerciale posto che il Mar Rosso è costellato da numerosi impianti militari a presidio essenzialmente dell’africa dei Paesi più importanti.
La congiuntura della comunità europea
La crisi della comunità europea
La crisi del diritto internazionale dell’economia, o del “modello di economia sociale di mercato”[6], che poggiava sugli istituti del Gatt, mette a nudo il vero problema dell’Unione europea. Che è cresciuta intorno alle libertà economiche ed alla concorrenza semmai rafforzando i presidi dell’ordinamento e sviluppando nuovi principi intorno agli anni 80-90 (la responsabilità degli Stati per la violazione del diritto dell’Unione, il ruolo delle direttive persino inattuate ecc.) ma non riesce a maturare andando oltre e quindi a costruire, una politica industriale comune che imporrebbe un “interesse comune” che si sostituisce all’”interesse nazionale” e un organo centrale che la realizzi sostituendosi agli Stati. Proprio ciò di cui vi sarebbe necessità in un momento in cui, in crisi le regole internazionali, si espande la sovranità degli Stati che sono chiamati a promuovere l’interesse nazionale.
La ragione di una Europa che non va oltre, malgrado i costanti richiami della società civile[7] è semplice. Malgrado la consapevolezza degli Stati della necessità di operare sul piano internazionale con una voce comune, gli Stati medesimi perseguono politiche concorrenti – e nella maggior parte dei casi divergenti – pronti ad allearsi con Cina o Stati Uniti. Una tendenza che, a ben vedere, è riscontrabile nell’atteggiamento delle poche grandi imprese europee: che paiono molto più propense ad alleanze con imprese mondiali piuttosto che a dar vita a veri e propri European Champions in grado di contendere il mercato sul piano internazionale.
La ragione di questa tendenza non è solo rappresentata da fenomeni di rivalità fra gli Stati membri (evidente fra Francia e Italia), ma dalla arretratezza, sotto il profilo tecnologico e finanziario, del mondo europeo: non vi è dubbio che in alcuni settori (si pensi al mercato dei servizi digitali, alle reti dati satellitari ad orbita bassa, agli armamenti ecc.) l’Europa è molto indietro e quindi assai poco competitiva. Precisa, in breve, è la sensazione che l’Europa dovrebbe cambiare molto avendo conseguito mai tutti gli obbiettivi possibili alla luce del vecchio ordine mondiale.
I tentativi della Comunità/Unione Europea di sviluppare scelte politiche
In assenza di una capacità di politica industriale comune i Paesi membri dell’Unione hanno dato vita ad alcune politiche.
Sotto il profilo della politica estera
Gli Stati membri, da soli o con l’Unione, hanno alimentato un conflitto militare neppure troppo sotterraneo con la vicina Russia, con la quale fino a non molti anni fa intercorrevano invece rapporti di vicinato eccellenti con l’obbiettivo, allora, di estendere il mercato geografico e quindi a produrre ricchezza. Incapace l’Europa di gestire il conflitto del Donbass nel 2014, malgrado gli accordi di Minsk negoziati dall’Osce, ha iniziato in un primo tempo con gli Stati Uniti un vero e proprio conflitto con la Russia, lanciando anzi una politica di riarmo nel convenzionale.
Così, invece di investire nella crescita, si investe nelle armi ignorando uno dei grandi obbiettivi dell’Unione (art.21, Tue): quello, tante volte ricordato da Giuseppe Tesauro, della pace, da conseguire, però, non attraverso la guerra, ma attraverso il commercio e quindi il mercato. Un fallimento perché, se la Russia fosse rimasta legata all’Europa con una politica di vicinato intelligente, anche la geopolitica mondiale sarebbe stata diversa (il fallimento della politica espressa da Angela Merkel, Helmut Kohl, Carlo Azelio Ciampi ecc.).
L’effetto è che, mentre oggi Stati Uniti, Cina e Russia negoziano un nuovo ordine mondiale, evidentemente ispirato a principi lontani dai tradizionali valori europei, corredato da precise intese di ripartizione della loro influenza, i Paesi membri, neppure unendo le prime cinque economie industriali, sono in grado di partecipare stanti le relazioni con Russia e Cina. Il che significa introdurre un processo gravemente involutivo dal punto di vista dei valori (democrazia, protezione dei deboli, e tutela dei diritti umani) sui quali l’Europa vive.
Sotto il profilo economico
La Commissione europea, ben rendendosi conto della debolezza dei Paesi membri (quelli orientali, preoccupati unicamente delle loro relazioni con la Russia, scambiando la comunità europea per una sorta di Nato bis, contribuiscono minimamente alla crescita economica e alla competitività), ha avviato parallelamente alcune scelte di politica industriale condivise dagli Stati[8].
Una di esse, quella sul Green Deal, forse la più importante e sulla quale si è costruito gran parte dell’ordinamento europeo più recente, si è dimostrata presto inconsistente tanto più in una fase in cui i Paesi membri subiscono le conseguenze molto negative delle nuove relazioni economiche con la Russia (rinuncia ad un mercato molto promettente, maggiori costi dell’energia e, specialmente, nuovi oneri per l’acquisto di armi per fronteggiare un ipotetico conflitto).
Altre scelte, che la Commissione propone, sono rivolte a creare nuove barriere di accesso al mercato dei prodotti e servizi stranieri allo scopo di tutelare valori europei ma spesso perché l’industria europea non è competitiva. Si pensi alla rete satellitare di bassa quota oggi occupata da Amazon e specialmente Starlink che certo l’Europa non è in grado di sostituire; si pensi al DSA che riguarda le condizioni di accesso dei servizi digitali; si pensi al DMA che riguarda i servizi di comunicazione.
In tutti questi casi, oltreché con il regolamento sull’intelligenza artificiale, gli Stati membri hanno introdotto una serie di misure e di restrizioni in principio per tutelare valori europei (la salute dei minori, la tutela del consumatore online ecc.) ma spesso, nella realtà, per regolare i servizi che provengono dagli Stati Uniti. L’indicata azione politica di fatto allontana i Paesi europei dal resto del mondo (in primis dagli Stati uniti) ed incrementa la difficoltà nelle relazioni con Cina, Russia, India ecc.
Quali azioni degli Stati membri in un momento di grave congiuntura
Probabilmente anche i Paesi europei devono operare una riflessione comune[9].
Una politica industriale
Le proposte di Enrico Letta e Mario Draghi sono ormai sul tavolo da due anni. Esse si sostanziano nel rafforzamento del mercato unico, evitandosi le misure di effetto equivalente che oggi lo impediscono da un lato ed una intesa sul finanziamento della competitività anche attraverso strumenti straordinari di debito emessi dall’Unione dall’altro.
Le indicazioni di Letta sono certamente da perseguire pur non nascondendoci la difficoltà di rivedere le misure che restringono il mercato e che oggi proteggono le imprese europee. Per quanto riguarda la proposta di Draghi, è risultata subito chiara la perplessità dei Paesi finanziariamente più forti e con uno spazio fiscale disponibile, come la Germania, che hanno osservato come il mercato finanziario oggi offra strumenti a un costo non più elevato di quello che sarebbe praticato se l’emittente fosse l’Unione. Inoltre, Draghi accenna molto superficialmente ad altre riforme necessarie, magari a trattati invariati, che sono invece del tutto ineludibili e alle quali ora accenneremo senza obbiettivo di esaustività.
Interesse nazionale e interesse europeo
Ed è qui il vero punto. Sono pronti gli Stati membri, o alcuni di essi, magari insieme ad alcuni Stati terzi, a dare luogo ad una politica industriale comune e a mettere in comune la loro sovranità in modo corrispondente. Sono pronti a trasformare l’”interesse nazionale”, da presidiare evidentemente ricorrendo a strumenti offerti dal diritto domestico, in “interesse europeo” tutto da costruire nei diversi comparti dell’economia presidiato al centro da un organo politico comune[10]?
Affrontare il tema del diritto della concorrenza
Per attuare una politica industriale comune ex art. 173, Tfue occorre probabilmente ritoccare il sistema di controllo della concorrenza che fino ad oggi ha retto la materia arrecando un danno enorme alla competitività delle industrie che si sono candidate a svolgere un ruolo globale ed impedendo loro di concentrarsi: si pensi ai casi Siemens – Alstom e Fincantieri Stx, ma anche alle concentrazioni che non si sono verificate proprio a causa di un sistema di controllo della concorrenza che non tiene conto della competitività internazionale. In una recente intervista Sergio Carbone mostra molta fiducia che il problema possa essere risolto attraverso l’interpretazione degli articoli 101 e seguenti, Tfue.
Del pari Oreste Pallotta, nella medesima traiettoria interpretativa, ricordando la dottrina Bronner, auspica un nuovo intervento liberale, ma non tecnocratico, nella applicazione del diritto comunitario della concorrenza [11]. A nostro avviso non sarà così facile perseguire la soluzione autorevolmente suggerita da Sergio Carbone per integrare l’obbiettivo della competitività attraverso le norme sulla concorrenza, fino ad oggi lette in una chiave opposta.
Il rispetto delle basi giuridiche
È evidente la funzione e l’importanza delle basi giuridiche: che sono uno strumento per il funzionamento del principio di attribuzione che regola le competenze dell’Unione e che la Corte ha sempre ritenuto centrali e non derogabili[12]. E, insomma, segno di molta spregiudicatezza la elusione della base giuridica giusta per usare quella che …conviene: mentre la Corte ha sempre respinto la sostituzione fra basi giuridiche allo scopo di estendere l’ordinamento europeo. Sarebbe difficile, d’altra parte, usando una base giuridica inappropriata, la difesa della primautè del diritto europeo davanti alle Corti nazionali.
Politica europea e industria
Ma il tema principale sarà costituito dalla “profondità” di questa politica. Che potere avrebbe la nuova direzione politica rispetto alle grandi imprese europee che, già oggi, hanno dichiarato di disinteressarsi di una politica europea preferendo soluzioni alternative e transatlantiche per rimunerare meglio gli azionisti e consolidare il loro ruolo mondiale?
La politica estera
In secondo luogo, va affrontata una riflessione seria sulla politica estera. Di nuovo, forse, muovendo dal nucleo dei paesi occidentali, vi è da domandarsi se il diritto europeo di cui agli artt. 21 e segg., Tue non debba essere meglio rispettato evitandosi, per quanto possibile, atteggiamenti conflittuali con i vicini e quindi massivi investimenti nel riarmo che potrebbero essere meglio orientati alla competitività (e cioè all’industria e alla ricerca) tenuto conto del gravissimo ritardo europeo.
Per concludere questa breve riflessione senza pretese scientifiche, sia la comunità internazionale sia la comunità europea attraversano la medesima congiuntura: dovuta al cambiamento della società internazionale (pezzi di mondo che contano in modo diverso rispetto al 1950 e la tendenziale scomparsa dell’Europa come area di influenza) ed al superamento degli assetti economici e generali conseguiti nella metà del secolo scorso (l’economia sociale di mercato). Politiche da ricostruire come le regole di ingaggio.
Note:
[1] G. Sacerdoti, Lo stallo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio davanti alla sfida di Trump: difficoltà passeggere o crisi del multilateralismo? in Dir. pubbl. comp. eur., 2018, p. 5; A. Narlikar, Trade Multilateralism In Crisis: Limitations Of Current Debates On Reforming The Wto, And Why A Game-Changer Is Necessary, in T. Soobramanien – B. Vickers – H. Enos-Edu, (a cura di), Wto Reform: Reshaping Global Trade Governance For 21st Century Challenges, Londra, Commonwealth Secretariat, 2019,
[2] P. De Pasquale, F. Ferraro, L’autonomia strategica dell’unione Europea: dalla difesa … alla politica commerciale. C’è ancora tanta strada da fare, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2023, V;
[3] Fra i molti autori richiamiamo solo P. Mayer Les lois de police, in Travaux du Comité français de droit international privé, 1988, pagg.105 e segg.; W. Wengler, Die Aknupfung des zwingenden Schuldrechts im Internationales Privatrecht, in Zeitschift fur Vergleichende Rerchvissenshaft, 1941, pag. 168; K. Zweigert, Nichterfullung auf grund auslandisher Leistungsverbote, in Zeitschift ausland. Privatrecht, 1942, pagg. 283 e segg. Les lois d’application immediate en tant que lois d’ordre public, in Rev. Crit, 1977, pag. 258; R. Luzzatto in Stati stranieri e giurisdizione nazionale, Milano, 1971, passim; Lagarde, «La méthode de la reconaissance est-elle l’avenir du droit international privé?», Rec. cours La Haye, vol. 371, 2014, p. 9-42; B. Audit, «Le droit international privé à la fin du XXe siècle: progrès ou recul», RIDC, 1998, p. 421, spéc. p. 423. B. Audit, Le droit international privé à la fin du XXe siècle: progrès ou recul», RIDC, 1998, p. 421, spéc. p. 423; «La loi et les conflits de souveraineté», RJC, 1984, p. 86; Le caractère fonctionnel de la règle de conflit de lois (sur la «crise» des conflits de lois)», Rec. cours La Haye, vol. 111, 1984, p. 231
[4] M. Mazzuccato, Lo Stato innovatore, Bari 2011.
[5] C. Schmitt, Die Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis zum proletarischen Klassenkampf, Berlin, Duncker & Humblot, 1921, passim. Cfr. il discorso del Presidente Mattarella reperibile all’indirizzo Internet https://www.youtube.com/watch?v=s77wDI7Yb0U. V. anche F. Capelli, Per salvare la democrazia in Italia – Cultura dell’etica e della legalità in un mondo dominato dalla politica e dall’economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019, pp. 93-96 (un ricordo con affetto e sincero a Fausto Capelli che ha attraversato il periodo piu “glorioso” del diritto comunitario sempre protagonista dei suoi cambiamenti).
[6] V. P. De Pasquale e F. Ferraro, op. cit.
[7] E. Letta, Much more than a Market. Speed, Security, Solidarity. Empowering the Single Market to deliver a sustainable future and prosperity for all EU Citizens? April2024, su cui v. P. DE PASQUALE, D. GALLO, Intervista a Enrico Letta: “Speed, securitad and solidarity. Così l’Unione europea potrà affrontare le sfide future”, in Unione europea e Diritti, n. 1, 2025, p. 161 ss.; M. Draghi, The Draghi report: A competitiveness strategy for Europe (Part A and Part B), 9 September 2024.
[8] O. Pallotta, L’evoluzione “politica” dei poteri di vigilanza tecnica della Commissione europea, Eurojus, 2025, pag, 194; P. Recaldini, La nuova politica industriale dell’Unione europea tra autonomia (strategica) e principio di attribuzione: una lettura critica, in Quaderni Aisdue 2026, pag 1; L. Lionello, L’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, Torino, 2025. V. anche
[9] Ci permettiamo rinviare ad alcuni nostri lavori molto recenti che si sono occupati specificamente del tema della politica industriale europea: Verso una politica industriale dell’Unione europea: fra tutela del mercato interno e competitività̀ del mercato globale Studi Int. Eur., 2024, pag. 9; Appunti sulla politica industriale e sul mercato unico. Le riforme necessarie per la competitività (e l’esistenza) dell’Unione in una comunità internazionale in crisi, in Quaderni AISDUE – Fascicolo n. 2/2025, pag. 1; Norme di ordine pubblico e governo dei mercati, Milano 2023; Il completamento dell’ordinamento dell’Unione europea nelle proposte di Mario Draghi (e Sergio Mattarella), Eurojus, 2024, pag. 241; Politica industriale e controllo della concorrenza. il ruolo della Commissione europea nello spazio europeo dell’industria, Dir. Com. sc. Int., 2024, pag.339.
[10] V. il nostro Norme di ordine pubblico e governo dei mercati. cit. passim
[11] La politica industriale europea e le misure compensative, colloquio con Patrizia de Pasquale e Oreste Pallotta, in Unione europea e diritti, fasc.3, 2025, pag.1; O. Pallotta, Le funzioni dell’antitrust (alla prova di resistenza dell’Unione europea), fasc.2, 2025, pag. 1.
[12] La Corte di giustizia ricorda, in assenza di una vera e propria gerarchia fra le fonti dei Trattati, che l’atto deve essere basato su una sola fonte: e prevale quella «principale e preponderante»: Sentenze della Corte di giustizia 19 settembre 2002 in causa n. C-336/00, Republik Österreich c. Martin Huber, EU:C:2002:509; 16 novembre 1989 in causa n. C-131/87, Commissione c. Consiglio, punto 7, EU:C:1989:581; 16 novembre 1989 in causa n. C-11/88, Commissione c. Consiglio, punti 6, 9-10, in Raccolta, 1989, p. 3799, pubblicazione sommaria; 23 febbraio 1999 in causa n. C-42/97, Parlamento c. Consiglio, punto 36, EU:C:1999:81; 14 aprile 2005 in causa n. C-110/03, Belgio c. Commissione, punti 27-44, EU:C:2005:223. Si consideri inoltre che la stessa Corte ricorda come la scelta e la selezione della base giuridica non riveste solo un valore di segno formale, dovendo incidere e caratterizzare il contenuto dell’atto. Si vedano inoltre le sentenze della Corte di giustizia 11 settembre 2003 in causa n. C-211/01, Commissione c. Consiglio, punti 52-53, EU:C:2003:452; 4 aprile 2000 in causa n. C-269/97, Commissione c. Consiglio, punti 43-45, EU:C:2000:183; 5 maggio 1998 in causa n. C-180/96, Regno Unito c. Commissione, punto 133, EU:C:1998:192; 30 gennaio 2001 in causa n. C-36/98, Spagna c. Consiglio, punti 58-59, EU:C:2001:64; 6 dicembre 2005 in cause riunite n. C-453/03, n. C-11/04, n. C-12/04, n. C-194/04, ABNA e a., punti 54-60, EU:C:2005:741; 12 settembre 2006 in causa n. C-479/04, Laserdisken, punti 30-32, EU:C:2006:549; sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’11 settembre 2002 in causa n. T-70/99, Alpharma c. Consiglio, punti 106-107, EU:T:2002:210 nonché sentenze della Corte di giustizia 11 giugno 1991 in causa n. C-300/89, Commissione c. Consiglio, punti 7-8, EU:C:1991:244; 26 novembre 2014 in cause riunite n. C-103/12 e n. C-165/12, Parlamento e Commissione c. Consiglio, punti 51, 58, 75-85, EU:C:2014:2400.



