Libia: ad un passo dal baratro della guerra civile?
L’instabilità strutturale
Il 14 maggio, le autorità di Misurata hanno proclamato la mobilitazione generale in risposta a crescenti segnali di un’avanzata delle truppe fedeli al generale Khalifa Haftar, leader dell’est della Libia e figura dominante della Cirenaica. Le forze legate al comandante, già protagonista di numerosi tentativi di conquista del potere centrale, si stanno muovendo da Sirte verso ovest, aumentando la pressione in un momento di forte instabilità.
Nel frattempo, la capitale continua ad essere teatro di scontri tra gruppi armati in lotta per l’influenza all’interno del fragile Governo di unità nazionale sostenuto in passato dalle Nazioni Unite. Questo esecutivo, insediato originariamente per stabilizzare il Paese, è progressivamente diventato ostaggio degli equilibri tra milizie rivali, offrendo terreno fertile per nuove iniziative da parte di Haftar, da sempre intenzionato a consolidare il suo dominio sull’intero territorio nazionale.
Il post Gheddafi
Dalla caduta di Gheddafi, Tripoli si è trasformata in un arcipelago di poteri paramilitari: tra le realtà più emblematiche spicca il Dispositivo di Supporto alla Stabilità, struttura creata nel gennaio 2021 dal Consiglio Presidenziale allora guidato da Fayez al-Sarraj. Questo organismo rappresentava un tentativo di istituzionalizzare le milizie locali, garantendo loro riconoscimento ufficiale ed accesso ai fondi pubblici. Alla guida del Dispositivo vi era Abdul Ghani Kikli, conosciuto come Ghneiwa, figura centrale in un emergente potere ibrido che univa legittimità statale e controllo armato sul territorio.
Abdul Ghani Kikli detto Ghneiwa
Kikli è stato assassinato il 12 maggio nel corso di una riunione tra comandanti miliziani a Tripoli, rivelatasi un’imboscata. La sua morte rappresenta un evento determinante nel già delicato equilibrio della capitale. Sotto la sua guida, il Dispositivo aveva inglobato centinaia di combattenti, trasformandosi in un attore chiave del panorama politico-economico libico. Kikli aveva ottenuto fondi pubblici, imposto tributi informali, influenzato organi di vigilanza economica e persino indirizzato alcune scelte diplomatiche del governo. Malgrado le numerose denunce internazionali per violazioni dei diritti umani – tra cui detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni sommarie – il suo ruolo era stato riconosciuto anche da interlocutori europei, sollevando non pochi interrogativi sull’approccio esterno al caos libico.

La sua ascesa incontrastata aveva però generato forti ostilità, in particolare da parte della 444ª Brigata, guidata da Mahmoud Hamza e dalle brigate 111 e 112, legate agli interessi di Misurata. Le tensioni sono esplose apertamente a fine aprile con l’assalto alle sedi della Compagnia delle Telecomunicazioni, considerato il punto di rottura che ha poi condotto all’eliminazione del comandante.
Secondo ricostruzioni accreditate, Kikli è stato convocato presso il campo Takbali con il pretesto di un incontro, ma una volta entrato nella sala riunioni è stato ucciso insieme ad alcuni suoi collaboratori. In poche ore, tutte le strutture del Dispositivo da lui controllato sono state occupate da forze rivali.
Il cambio di passo
Il silenzio calato su Tripoli dopo i combattimenti ha segnato un passaggio di fase: la stagione in cui il potere delle milizie veniva regolato attraverso l’erogazione di fondi governativi sembra essersi conclusa. La Banca centrale libica ha infatti deciso di imporre controlli più rigidi sui flussi finanziari destinati all’esecutivo guidato da Abdelhamid Dabaiba; questa decisione ha innescato una catena di tensioni interne culminata nella rimozione dei vertici dell’istituto e nel riaccendersi del confronto con le autorità della Cirenaica, per ora limitato a scontri politici e scambi di accuse, ma potenzialmente preludio di nuovi conflitti armati.
La guerriglia urbana
Tripoli è nuovamente sprofondata nel caos dopo l’uccisione di Kikli, le aree circostanti Souq al-Juma e Midan al-Shuhada sono diventate il fulcro dei combattimenti, trasformandosi in teatri di violenza urbana. Migliaia di residenti sono barricati nelle proprie abitazioni, mentre scuole, ospedali ed uffici pubblici hanno sospeso ogni attività. L’aeroporto di Mitiga è stato evacuato ed i voli deviati sulla città costiera di Misurata.
Questa nuova fiammata di violenza contrappone le forze guidate da Abdul-Raouf Kara – la cosiddetta Forza di Deterrenza, sostenuta da una mobilitazione popolare nel quartiere di Souq al-Juma – ad un’alleanza di milizie legate al governo di Abdul Hamid Dabaiba. Tra queste figurano la 444ª Brigata, la Forza Congiunta e la 111ª Brigata, tutte con roccaforti operative a Misurata.

Il conflitto ha rapidamente assunto i contorni di una guerriglia urbana su vasta scala, con scontri che si estendono dai vicoli secondari alle principali arterie cittadine; sono stati impiegati droni armati, artiglieria pesante e mortai. In un atto che segna un’escalation particolarmente grave, la Forza di Deterrenza ha condotto attacchi con droni contro il campo militare di Takbali. Un episodio che evidenzia, ancora una volta, quanto il divieto internazionale sulle forniture di armamenti imposto dalle Nazioni Unite sia largamente disatteso.
Il vuoto politico più che decennale
Le manifestazioni scoppiate nel quartiere di Souq al-Juma si sono rivolte con fermezza contro il primo ministro Abdelhamid Dabaiba, accusato dai manifestanti di fomentare tensioni armate per perseguire interessi personali. Le critiche si inseriscono in un contesto istituzionale ben definito: in base a quanto stabilito dall’Accordo Politico libico, solo il Consiglio Presidenziale detiene la legittimità per autorizzare operazioni militari; l’organo ha tuttavia smentito categoricamente di aver concesso simili autorizzazioni. A complicare ulteriormente la situazione è la posizione del Capo di Stato Maggiore, il generale Mohamed El-Haddad, che avrebbe optato per un atteggiamento di distacco. Il risultato è che Tripoli non è più governata dalla legge, ma dalle armi.
Riorganizzazione delle forze di sicurezza
In seguito agli scontri che hanno scosso il Paese, le autorità libiche hanno annunciato una serie di interventi strutturali nel tentativo di riorganizzare i settori della giustizia e della sicurezza. Tra le prime mosse figurano lo scioglimento di alcune agenzie coinvolte in questi ambiti, il trasferimento di competenze al ministero dell’Interno, la nomina di nuovi responsabili nei vertici dell’intelligence e l’istituzione di una commissione congiunta con la magistratura per rivedere le pratiche carcerarie.

Secondo l’analista politico Ahmed Zahir, tali provvedimenti appaiono parziali ed insufficienti ad affrontare le criticità strutturali del sistema. A suo avviso, il nodo principale – il Servizio di Supporto alla Stabilità – non è stato smantellato, lasciando così irrisolto uno degli elementi chiave dell’instabilità; la concentrazione del potere resta infatti limitata, con numerosi attori ancora in competizione fra loro.
La Comunità internazionale
Mentre la crisi libica continua ad aggravarsi, cresce l’urgenza di interventi concreti per porre fine al conflitto e proteggere la popolazione civile, lasciata priva di qualsiasi tutela. Le istituzioni, intrappolate in un conflitto di legittimità e competenze, si annullano a vicenda, incapaci di offrire risposte efficaci.
Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno intensificato i contatti con esponenti delle diverse fazioni armate attive sia in Tripolitania che in Cirenaica: questa iniziativa, attualmente guidata dal Dipartimento della Difesa, mira a costruire un fragile equilibrio di stabilità partendo proprio dalle milizie, che rappresentano di fatto il fulcro del potere reale sul terreno. Washington sembra consapevole che, in assenza di un’intesa tra questi gruppi, il rischio è quello di una nuova spirale di violenza, con pesanti conseguenze sia per la Libia che per il contesto regionale, in particolare l’Europa meridionale. In questo scenario instabile, si inserisce anche la presenza strategica della Russia nell’est del Paese, a sostegno del generale Khalifa Haftar, con potenziali effetti di ulteriore destabilizzazione ed influenza antioccidentale.
Il caso di Abdelghani al-Kikli è emblematico delle contraddizioni interne al fragile equilibrio libico: un tempo figura chiave dell’apparato di sicurezza della capitale, Kikli si è ritrovato schiacciato da quello stesso sistema che aveva contribuito a costruire. Il fallimento dell’integrazione delle milizie nelle strutture statali, avvenuta senza un disarmo preventivo, senza trasparenza né un quadro istituzionale solido, ha prodotto una macchina di potere incontrollabile ed in profonda crisi.
Il cessate il fuoco incerto
Sotto il peso crescente delle proteste popolari e dei violenti scontri armati, il Consiglio Presidenziale ha adottato la Decisione n. 2 del 2025, con l’obiettivo dichiarato di “confermare il cessate il fuoco”: il documento, reso pubblico il 14 maggio, intendeva arrestare l’escalation del conflitto e ristabilire una parvenza di ordine. Tra le misure annunciate figurano l’imposizione di un cessate il fuoco generale, la sospensione temporanea delle nomine nelle istituzioni di sicurezza e la creazione di un comitato tecnico, guidato dal Capo di Stato Maggiore, incaricato di presentare entro quindici giorni una proposta concreta per il consolidamento della tregua.

Secondo una lettura più approfondita della decisione, emergono significative criticità strutturali: il provvedimento non offre infatti strumenti operativi concreti per garantire l’effettiva applicazione del cessate il fuoco. Non si fa menzione di forze indipendenti preposte al monitoraggio del rispetto della tregua, né sono previste sanzioni per chi dovesse violarla. Sebbene si accenni ad una riforma delle istituzioni di sicurezza, mancano dettagli su tempi, modalità ed organi di controllo responsabili del processo, sollevando dubbi sulla reale volontà politica di procedere in quella direzione. In questo contesto, il provvedimento appare più come una risposta di facciata alla pressione pubblica che una misura efficace di governo.
A compromettere ulteriormente la credibilità della decisione è il fatto che, nei giorni successivi alla sua promulgazione, la violenza non ha conosciuto tregua: in diversi quartieri della capitale si sono uditi ancora spari ed esplosioni, segnale evidente della persistente instabilità e dell’incapacità delle istituzioni di imporre la propria autorità sul terreno. L’assenza di riferimenti a misure di giustizia per le vittime delle proteste, così come il mancato riconoscimento delle responsabilità delle milizie coinvolte, ha alimentato ulteriore sfiducia nell’opinione pubblica, rendendo la Decisione n. 2 un simbolo della debolezza strutturale del potere centrale.
L’intreccio politico
In un contesto segnato da una crescente instabilità istituzionale, sono emersi tentativi non ufficiali di mediazione volti a risolvere le tensioni attorno alla figura di Abdelraouf Kara, comandante della Forza Speciale di Deterrenza. Le pressioni nei suoi confronti si sono intensificate quando alcuni oppositori gli hanno chiesto di cedere il controllo della base militare di Mitiga e della prigione annessa, dove sono detenuti esponenti di gruppi estremisti come Daesh e al-Qaeda, oltre a criminali ritenuti altamente pericolosi.
Alcuni analisti riferiscono che Kara avrebbe subordinato la sua disponibilità ad una soluzione negoziale alle dimissioni del governo in carica, una posizione che ha alimentato speculazioni su possibili scenari alternativi al di fuori del perimetro istituzionale: tra le ipotesi emerse, la più significativa risulta essere quella avanzata dall’imprenditore ed attore politico Abdelbaset Igtet.

Questi avrebbe suggerito a Kara di trasferire il comando della Forza Speciale a Mostafa Qaddour, suo ex collaboratore, a patto che il premier Abdulhamid Dabaiba proceda alla rimozione dei ministri della Difesa e dell’Interno. La proposta include inoltre la nomina di due figure indipendenti e nazionalmente riconosciute, con il compito di garantire la stabilità del paese fino alla conclusione dell’attuale mandato governativo, che Igtet ha stimato avere una durata residua di pochi mesi.
La profonda crisi del Consiglio Presidenziale
Le recenti violenze a Tripoli non possono essere interpretate semplicemente come scontri tra fazioni armate o forze di sicurezza, rappresentano al contrario l’espressione evidente di una crisi profonda di legittimità che investe il governo libico ed il Consiglio Presidenziale, entrambi incapaci di esercitare un controllo effettivo sul territorio o di conservare la fiducia della popolazione. La repressione armata delle manifestazioni popolari, scese in piazza con richieste esplicite di dimissioni dell’esecutivo, segnala un pericoloso scollamento tra le istituzioni e la cittadinanza, che va ben oltre episodi di protesta isolati.
In un contesto segnato dall’assenza di una chiara tabella di marcia e dalla mancanza di un processo politico credibile, emergono iniziative individuali e non ufficiali – come quella promossa da Basit Igtet – che rischiano di colmare, in modo distorto, il vuoto lasciato da uno Stato sempre più debole.
Ciò di cui la Libia ha urgente bisogno non è un semplice accordo di armistizio, ma un percorso autentico di riconciliazione nazionale: solo attraverso il superamento della frammentazione armata e la ricostituzione del rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni sarà possibile restituire significato allo Stato e stabilità al Paese.
Riferimenti bibliografici:
- https://formiche.net/2025/05/crisi-libia-tripoli-varvelli/
- https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/05/16/libia-nuove-manifestazioni-a-tripoli-contro-il-premier_d90a17e4-5fe6-4590-b907-9f21e6810dc4.html
- https://24plus.ilsole24ore.com/art/libia-caos-milizie-e-l-avanzata-haftar-AH9lU5m
- https://formiche.net/2025/05/il-cessate-il-fuoco-a-tripoli-non-basta-per-risolvere-la-crisi-libica/
- https://tg24.sky.it/mondo/2025/05/16/libia-scontri-tripoli-italiani-rientrati-roma
- https://www.avvenire.it/attualita/pagine/a-tripoli-aperta-uninchiesta-su-almasri-il-generale-ora-nemico-del-governo
- https://ilmanifesto.it/e-tutti-contro-tutti-in-libia-potrebbe-approfittarne-haftar
- https://www.rsi.ch/info/mondo/Proseguono-gli-scontri-tra-gruppi-armati-in-Libia–2832245.html
- https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2025-05/libia-tripoli-manifestazione-vittime.html
- https://formiche.net/2025/05/lassassinio-di-kikli-destabilizza-tripoli-nuovi-combattimenti-in-libia/
- https://www.internazionale.it/ultime-notizie/2025/05/15/libia-combattimenti-tripoli