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La Serbia continua a manifestare in piazza

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Presidio permanente, tumulti e arresti.

La festa nazionale del Vidovdan, molto sentita dalla popolazione serba, ha portato nella piazza di Belgrado quasi 150.000 persone.

Un 28 giugno caldissimo che, come spesso accade nella galassia ortodossa, stringe in un abbraccio il sacro e il profano, la sensibilità religiosa con quella politica e sociale. Non è la coda della protesta studentesca che ha coinvolto tutto il Paese, iniziata nel novembre scorso, è piuttosto un corpo vivo che si muove di continuo e non accenna a fermarsi.

Il presidio è permanente, le piazze sono vive e la pazienza della classe politica è agli sgoccioli. I motivi della “manifestazione delle mani insanguinate” sono ormai noti all’opinione pubblica mondiale e raccolgono il favore e il contributo della grande diaspora serba: verità e trasparenza sul crollo del tetto della stazione di Novi Sad che il 1° novembre ha portato alla morte 16 persone, elezioni anticipate, libere e democratiche, liberalizzazione del comparto accademico e culturale preso d’assedio da un approccio autoritario del Governo. Le manifestazioni oceaniche che ne corso dei mesi si sono susseguite nelle varie città della Serbia si sono sempre svolte in un clima teso ma pacifico.

Questa volta la linea rossa è stata superata con arresti, fumogeni, spari e cariche della polizia. Il Presidente Vucic, oggetto della forte contestazione ha iniziato a cambiare i toni, chiamando gli studenti “terroristi” e agitando lo spauracchio delle infiltrazioni dall’estero mirate a realizzare l’ennesima rivoluzione colorata dell’Europa dell’est. Forte nervosismo che deriva dal grande momento di debolezza che sta vivendo il Governo serbo che aveva inizialmente sottovalutato la portata dell’indignazione nazionale e che oggi fa molta fatica a contare sul supporto dell’alleato di ferro, la Russia di Putin, che da settimane accusa l’establishment di Belgrado di fare il gioco delle tre carte con un piede nell’Unione Europea (a supporto dell’Ucraina) e con un piede a Mosca.

Siamo dunque ad un momento chiave della protesta serba, in cui nervosismo, paura e stanchezza portano a scelte azzardate, pericolose e repressive. Molti analisti concordano su un fatto: se il fronte del dissenso rimane compatto, solido e organizzato, può influire in modo determinante sull’evoluzione degli scenari politici e sociali della Serbia perché è supportato dal favore della schiacciante maggioranza del Paese e da una rete europea e mondiale sempre più solida e forte. Il Governo sembra tenere il punto e non cedere alle richieste ma Vucic è sempre più isolato, malconcio e debole. Lo scenario che si verrà a creare nelle prossime settimane determinerà una nuova inerzia che andrà sicuramente a comporre il quadro del faticoso avvicinamento della Serbia agli standard europei in materia di diritti e libertà.

È un popolo che affonda saldamente le radici in Europa ma che non ha mai voluto barattare la propria autonomia e specificità culturale e storica con un piatto di broccoletti di Bruxelles e non ha mai fino in fondo perdonato il bombardamento Nato di Belgrado e la secessione del Kosovo; cause che l’hanno tenuta vicina all’abbraccio caldo ma soffocante dei fratelli ortodossi russi.

  • Laurea in Relazioni Internazionali alla facoltà di Scienze Politiche di Perugia, dove ho conseguito anche una laurea specialistica in Politica Estera e Sistema Internazionale.
    Lavoro nel management locale di una multinazionale e sono coordinatore regionale dell'agenzia umanitaria ADRA in Umbria.
    Sono stato cinque anni membro del Cda della Fondazione antiusura Adventum e cinque anni membro del comitato esecutivo dell'ente OSA 8×1000. Attualmente sono anche Consigliere comunale della città di Perugia.
    Ho collaborato con riviste e radio nella cura di rubriche e nel lavoro di redazione.

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