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Hamas: la genesi dei rapporti con la Siria

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Il legame tra la Siria e Hamas affonda le radici nei primi anni Novanta, un periodo in cui la prima intifada palestinese si stava trasformando da movimento popolare in una vera e propria insurrezione armata. A rafforzare l’asse tra Damasco ed il movimento islamista fu, in particolare, l’opposizione condivisa – anche con l’Iran – agli Accordi di Oslo, che venivano percepiti come una concessione eccessiva ad Israele ed all’Occidente.

I rapporti tra Arafat e Hafiz al Assad

I rapporti tra Arafat e l’allora presidente siriano Hafiz al Assad furono da sempre caratterizzati da freddezza e diffidenza reciproca. I due leader non si fidavano l’uno dell’altro: Arafat sospettava che Damasco ambisse a mantenere il controllo sull’evoluzione del dossier palestinese, riservandosi l’ultima parola su ogni possibile soluzione.

Dopo l’invasione israeliana del Libano nel 1982 e la conseguente espulsione dell’OLP, Arafat ottenne un passaggio sicuro per lasciare il Paese. Invece di trasferire il proprio quartier generale a Damasco – dove risiedeva una nutrita comunità palestinese – il leader dell’OLP optò per Tunisi, convinto che da lì avrebbe potuto agire con maggiore autonomia. La decisione fu accolta con irritazione da parte di Assad.

Quando Arafat tornò successivamente a Damasco per una visita ufficiale, l’accoglienza fu gelida: venne dichiarato persona non grata e costretto a lasciare il Paese. A confermare l’umiliazione, il fatto che fu accompagnato all’aeroporto da un funzionario dei servizi segreti di basso rango, incaricato di verificare che il leader palestinese se ne andasse senza incidenti.

Hafiz al Assad (a sinistra) e Yasser Arafat (a destra).
Hafiz al Assad (a sinistra) e Yasser Arafat (a destra).

Le tensioni tra Arafat ed il governo siriano si erano già manifestate nei mesi precedenti, con Damasco che iniziava a mostrare apertamente il proprio sostegno ad alcuni suoi rivali interni a Fatah, come Abu Musa, Abu Saleh e Kadri. Dopo l’espulsione dell’OLP dal Libano, invece di seguire Arafat a Tunisi, questi ultimi avevano fondato una propria base a Damasco, rafforzando l’asse con il regime siriano.

Nel frattempo, Arafat cercò di mantenere una presenza anche nel Levante, stabilendo una sede secondaria dell’OLP a Tripoli, nel Nord del Libano. Da Tunisi fece ritorno via mare nel Paese dei Cedri, in un gesto apertamente provocatorio nei confronti di Israele.

Nell’estate del 1983, Yasser Arafat fu costretto ad abbandonare Tripoli, in Libano, imbarcandosi sotto la protezione della marina francese in direzione del porto yemenita di al-Hodeida, attraverso il Canale di Suez. Questo evento segnò una svolta significativa nello scenario politico mediorientale, mentre, sullo sfondo, si rafforzava una rete di alleanze strategiche tra Teheran, Damasco ed alcune formazioni islamiste radicali come Hamas ed il Jihad islamico palestinese. Ogni attentato suicida o operazione militare rivendicata da questi gruppi contribuiva a cementare tale asse politico-militare.

La sede di Hamas a Damasco

Fu in questo contesto che Hamas inaugurò una sede di rappresentanza a Damasco. In breve tempo, il suo ufficio politico si trasferì nella capitale siriana, dove il movimento islamista entrò a far parte dell’Alleanza delle dieci fazioni palestinesi, una coalizione di gruppi contrari agli Accordi di Oslo ed al percorso di pace allora promosso dalla comunità internazionale. L’alleanza si riuniva con cadenza regolare per coordinare le proprie iniziative e stabilire una linea comune contro Israele, l’Autorità Nazionale Palestinese ed il sostegno statunitense alla loro causa.

Parallelamente, l’influenza di Hamas cresceva nei Territori Palestinesi, sia a Gaza che in Cisgiordania. Questo crescente consenso popolare spinse il governo siriano a consolidare i propri rapporti con il movimento islamista, che appariva ormai come un interlocutore di peso ed un attore cruciale nel panorama della resistenza palestinese. A differenza di altri gruppi con base a Damasco, Hamas vantava un radicamento sociale molto più solido.

I rapporti tra il partito Ba’ath e Hamas

Nel 1996, durante una conferenza ufficiale, il partito Ba’ath al governo in Siria sottolineò l’opportunità strategica di costruire un’alleanza tra il nazionalismo laico incarnato dallo stesso Ba’ath e l’islamismo rappresentato da Hamas. Una scelta che segnava una discontinuità rispetto alla violenta contrapposizione tra lo Stato siriano ed i Fratelli Musulmani, culminata in episodi drammatici come l’attacco alla scuola di artiglieria di Aleppo, dove nel 1979 furono uccisi un centinaio di cadetti alauiti. L’emergere del movimento sunnita come forza politica rilevante in Siria risaliva alla fine degli anni Sessanta, in un contesto in cui i sunniti costituivano la maggioranza della popolazione, ma erano progressivamente esclusi dai centri del potere.

Nel corso degli anni Settanta, l’ascesa dell’influenza dei Fratelli Musulmani in Siria cominciò a rappresentare una seria minaccia per il regime ba’athista di Damasco, che reagì con una crescente repressione. I rapporti tra l’esercito siriano ed il movimento islamista degenerarono rapidamente in violenti scontri, culminati in un attentato contro il presidente Hafiz al Assad: l’episodio avvenne nel giugno del 1980, durante un ricevimento ufficiale in onore del presidente del Mali.

La risposta del governo fu brutale: poche ore dopo l’attentato fallito, le forze armate siriane condussero una rappresaglia nella prigione di Palmira, nel cuore del deserto, uccidendo fino ad un migliaio di militanti islamisti detenuti. A luglio dello stesso anno, il governo intensificò ulteriormente la repressione con una nuova legge che introdusse la pena di morte per l’appartenenza ai Fratelli Musulmani.

Gli effetti del bombardamento della città di Hama nel 1982.
Gli effetti del bombardamento della città di Hama nel 1982.

Il punto più drammatico di questo conflitto interno fu raggiunto nel febbraio del 1982, quando la città di Hama divenne teatro di una vasta insurrezione guidata dal movimento islamista. L’esercito siriano rispose con una feroce campagna militare, bombardando l’area urbana per diverse settimane; il bilancio fu devastante: a seconda delle stime, tra 10.000 e 25.000 civili persero la vita, tra cui donne e bambini. Questo massacro segnò l’annientamento dei Fratelli Musulmani in Siria e la soppressione di ogni forma organizzata di opposizione islamista, almeno fino all’inizio del nuovo millennio.

Bashar al Assad

Con l’ascesa al potere di Bashar al Assad, succeduto al padre Hafiz, si registrò un parziale cambiamento di rotta: il nuovo presidente concesse l’amnistia a numerosi esponenti del movimento islamista, liberando diversi prigionieri. In un tentativo di riaprire un dialogo, le autorità siriane invitarono delegazioni dei Fratelli Musulmani di altri Paesi, tra cui Egitto e Giordania, ad una conferenza a Damasco incentrata sulla questione palestinese e sull’occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania.

Durante l’evento, alcune figure di spicco del movimento, come Ishaq al-Farhan, leader della branca giordana dei Fratelli Musulmani, ebbero occasione di incontrare personalmente il presidente siriano, insieme a rappresentanti di altri partiti islamici e arabi.

La posizione assunta dalla famiglia Assad

Negli ultimi decenni, la Siria è finita ripetutamente nel mirino delle critiche da parte degli Stati Uniti e di Israele per aver offerto ospitalità a figure di spicco di organizzazioni classificate come terroristiche da Occidente ed alleati.

Dal canto suo, il governo siriano ha sempre respinto le accuse, affermando che i leader presenti nella capitale, tra cui Khalid Mishal (Hamas), Ramadan ‘Abdallah Shallah (Jihad Islamico) ed Ahmad Jibril (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale), si trovano sul territorio siriano esclusivamente per condurre attività politiche e di propaganda, senza essere coinvolti in operazioni armate.

Tuttavia, ogni qualvolta un attentato suicida colpiva civili israeliani, Israele reagiva prontamente indicando Damasco come complice o mandante morale dell’attacco, attribuendo tale responsabilità alla presenza sul suolo siriano di esponenti come Khalid Mishal. Quest’ultimo, dopo le eliminazioni mirate dello shaykh Ahmad Yassin e del suo successore ‘Abd al-‘Aziz al-Rantisi, è diventato la principale figura politica del movimento islamista palestinese.

Le figure rappresentative e la chiusura della sede a Damasco

Tra i protagonisti di spicco della presenza di Hamas in Siria vi è stato anche lo shaykh Izz al-Din Khalil, già incarcerato più volte tra il 1987 ed il 1992 e tra i 415 membri di Hamas e del Jihad Islamico deportati da Israele nel Sud del Libano nel 1992. Originario della Striscia di Gaza, Khalil era considerato da Israele il collaboratore più fidato di Yehia Ayyash, noto come “l’Ingegnere”, ucciso nel 1996 in un’operazione israeliana. Dopo la deportazione, Khalil ha scelto di non rientrare a Gaza, preferendo stabilirsi a Damasco, che ha utilizzato come punto di partenza per una rete di contatti che lo ha portato a viaggiare regolarmente in numerose capitali del mondo arabo ed islamico, tra cui Khartum, Aden, Sana’a, Teheran e, occasionalmente, Il Cairo.

Manifesto commemorativo di Izz al-Din Khalil.
Manifesto commemorativo di Izz al-Din Khalil.

Secondo quanto ricostruito da diverse fonti, Khalil fu ucciso all’età di quarantadue anni nel quartiere di al Zahera, a sud di Damasco, una zona abitata in prevalenza da rifugiati palestinesi. L’omicidio avvenne quasi dodici mesi dopo un attacco aereo israeliano che aveva colpito una base militare palestinese situata a nord-ovest della capitale siriana. Si trattò del primo raid israeliano sul suolo siriano dalla guerra dello Yom Kippur del 1973.

L’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon stava portando avanti una strategia di contrasto ai gruppi palestinesi ritenuti responsabili degli attacchi suicidi contro obiettivi israeliani. In questo contesto, Tel Aviv aveva autorizzato l’invio di agenti del Mossad in diverse capitali del Medio Oriente con l’obiettivo di eliminare figure chiave legate a Hamas ed al Jihad islamico, spesso accusate di trovare rifugio in paesi come la Siria.

L’eliminazione di Khalil rappresentò un momento di grande imbarazzo per i servizi di sicurezza siriani e per il governo di Damasco. Sotto la pressione degli Stati Uniti e della comunità internazionale, il presidente Bashar al Assad annunciò la chiusura di tutte le sedi operative di Hamas e del Jihad islamico presenti sul territorio siriano, l’espulsione dei loro leader ed il taglio delle linee telefoniche a loro intestate.


Riferimenti bibliografici:

  • Dott.ssa in Scienze Internazionali Diplomatiche, Master in “Religioni e Mediazione culturale” e Master in “Antiterrorismo Internazionale”.
    Esperienze formative maturate presso Radio Vaticana e la Camera dei Deputati.
    Dal 2021 al 2023 membro del Comitato di Direzione della Rivista "Coscienza e Libertà", organo di stampa dell’Associazione Internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR).
    Fondatore del blog "Caput Mundi", supervisore sezione "Geopolitica" Nord Africa e Medio Oriente, cura le pubbliche relazioni del sito ed i contatti con l'esterno.
    Redattrice per “Il Talebano” e collaboratrice editoriale presso radio RVS, network hopemedia.it.

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