Ucronia sovietica, un esercizio geopolitico
L’ucronia, ovvero l’esercizio riassumibile in “la Storia fatta coi se”. Un gioco tanto inutile quanto affascinante.
Nel precedente articolo su questo argomento abbiamo visto che vi sono due tipi di ucronia: quella completamente assurda, del tipo “Fascisti su Marte” o Yamamoto che sbarca in California, e quella invece plausibile. Quest’ultima è molto più interessante, ma necessita di conoscenze storiche approfondite ed inevitabilmente crea due domande per ogni risposta che dà.
Un esempio? Cosa sarebbe successo se i tedeschi avessero vinto la Battaglia d’Inghilterra (cosa possibilissima)? I britannici avrebbero gettato la spugna? Oppure gli Stati Uniti sarebbero intervenuti un anno prima per evitare la nazificazione dell’Europa? E ancora, se i sovietici avessero sconfitto i polacchi nella guerra del 1919-1920 si sarebbe scatenata la rivoluzione mondiale come auspicava Lenin o, più probabilmente, Europa, USA e Giappone avrebbero creato una coalizione mondiale che avrebbe macellato i comunisti casalinghi per poi fare a fette il regime sovietico risparmiando al mondo 69 anni di obbrobrio comunista? Il “gioco” potrebbe continuare all’infinito.
In questo breve scritto analizzeremo, ovviamente, un potenziale evento di ucronia plausibile, immergendoci nella storia sovietica e post-sovietica. Questo esercizio intellettuale (o per meglio dire intellettualoide) ci aiuterà a capire perché l’URSS cadde in modo tanto umiliante e perché le modalità di tale crollo influenzino la storia attuale, ripassando al contempo gli eventi.
Nella storia reale Stalin morì nel 1953. A lui successe Nikita Sergeevič Chruščëv, che detenne il potere fino al 1964. Ultimo leader sovietico a credere davvero nel comunismo, spietato ma non psicopatico come il predecessore, ignorante ma intelligente, Chruščëv governò in modo vulcanico, istrionico e a tratti macchiettistico, osando sia in politica interna (la Campagna delle Terre Vergini) che estera (la Crisi di Cuba).

Alla fine, i suoi colpi di testa misero a rischio la pace mondiale (e su questo il delitto Kennedy deve ancora essere chiarito del tutto). Di conseguenza la leadership sovietica, ormai priva di carica rivoluzionaria ed interessata solo a perpetuare i propri privilegi, depose Chruščëv.
Il suo posto venne preso da Leonid Il’ič Brežnev. Quest’ultimo guidò l’URSS dall’ottobre 1964 alla sua morte, nel novembre del 1982. Un regno tanto lungo finì col caratterizzare l’Unione Sovietica del dopoguerra.

E quali furono i tratti salienti dell’era Brežnev? In estrema sintesi li possiamo definire così: repressione interna, parziale rivalutazione di Stalin, espansionismo nel Terzo Mondo ma cura maniacale nell’evitare lo scontro aperto con l’Occidente, invecchiamento dei quadri dirigenti attaccati alla poltrona, corruzione a tutti i livelli dell’amministrazione, totale assenza di meritocrazia, inefficienza economica e burocratica. Non a caso tale fase della storia sovietica venne definita Stagnazione.
Infine, Brežnev morì il 10 novembre 1982, e il suo posto fu preso da Jurij Vladimirovič Andropov, nientedimeno che il Presidente del KGB. Andropov non poteva essere più diverso dal suo predecessore. Di oscure origini (forse addirittura figlio di un piccolo nobile zarista), scalò con pazienza e machiavellismo le gerarchie dei servizi segreti, arrivando a guidare l’onnipotente quanto lugubre KGB dal 1967 al 1982, anno della sua ascesa a leader sovietico.

Pertanto, quando raggiunse il trono supremo, aveva alle spalle 15 anni di spionaggio interno alle spalle, cosa che gli aveva permesso di conoscere la realtà: l’Unione Sovietica era corrotta al parossismo, indebitata con l’Occidente, costretta ad importare derrate alimentari dagli Stati Uniti, con una leadership di settantenni sopravvissuti a Stalin e tecnologicamente circa vent’anni indietro all’Occidente. Niente di più che un Congo dotato di migliaia di armi nucleari con cui ricattare il pianeta e che sopravviveva grazie all’esportazione di materie prime, esattamente come un Paese del Terzo Mondo.
A peggiorare le cose, il mondo anglosassone aveva eletto leader come la Thatcher e Reagan, decisi a farla finita con l’errore storico partorito dal nefasto 1917. Andropov, da ex capo del più potente servizio segreto della storia umana, sapeva tutto. Ma era convinto di poter salvare il comunismo, a condizione di renderlo più efficiente e di attuare alcune riforme economiche (ad oggi difficile capire quali). Non a caso fu Andropov il protettore politico di una persona che rincontreremo, Michail Gorbačëv.
Tuttavia, l’ex Signore del KGB arrivò al vertice già malato, al punto di morire il 9 febbraio 1984, dopo appena 15 mesi. Nei suoi desideri il successore avrebbe dovuto essere Gorbačëv, ma la vecchia guardia del Partito Comunista riuscì a nominare Segretario Generale Konstantin Ustinovič Černenko, burosauro con alle spalle una lunga carriera nei settori di propaganda e studi ideologici del Partito.

Al momento dell’ascesa alla Segreteria era già malato terminale e riuscì a stento a leggere l’orazione funebre del predecessore. Fu l’ultimo rantolo della vecchia guardia post-stalinista. Per capire a che livello di senilità ed involuzione ideologica era giunto il Partito basti sapere che Černenko, poco prima di morire, avviò le pratiche per ridare a Volgograd il nome Stalingrado.
Il vetusto leader si spense il 10 marzo 1985 a 73 anni, dopo 11 mesi in carica, molti dei quali passati in ospedale. Il giorno dopo il Politburo, all’unanimità, elesse Gorbačëv Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. La situazione era disastrosa. La guerra in Afghanistan drenava risorse e vite umane, l’economia era in stato comatoso, il grosso della popolazione viveva nello squallore ed il gap tecnologico con l’Occidente era imbarazzante (malgrado alcune eccellenze ed una scuola scientifica di prim’ordine). Il bilancio dello Stato, infine, era al collasso a causa delle insostenibili spese militari, dell’aumento del prezzo del grano (eterno handicap sovietico) e del calo del prezzo del petrolio, allora come oggi una delle pochissime voci d’esportazione russe.

In politica estera il nuovo leader comprese che l’URSS aveva perso la Guerra Fredda, pertanto avviò una ritirata geopolitica che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere graduale, ma che in breve divenne uno tsunami che distrusse il castello di carte del Patto di Varsavia.
In politica interna, invece, Gorbačëv sapeva bene d’essere stato messo al vertice per rivitalizzare un sistema moribondo. Coerentemente con la linea del suo mecenate Andropov, tuttavia, non aveva intenzione di trasformare l’URSS in un Paese capitalista e, all’inizio, nemmeno socialista di mercato, ma solo di rendere più efficiente e più umano il comunismo. Le parole d’ordine del nuovo Governo furono Perestojka (ricostruzione) e Glasnost (apertura, a volte tradotto con trasparenza).
Il primo termine diede il nome ad una serie di riforme che introdussero elementi dell’economia di mercato nel sistema pianificato sovietico. Era la prima volta dall’abolizione della NEP nel 1928 che un po’ di libertà tornava nell’economia in Russia.
La Glasnost invece fu una campagna intesa a portare la libera discussione all’interno delle istituzioni, la facoltà di criticare il Governo ed una limitata libertà di stampa. Azioni che, nelle speranze di Gorbačëv, avrebbero salvato il comunismo democratizzandolo. Ma è proprio in questo punto che l’ultimo leader sovietico sbagliò: il comunismo per restare al potere non può essere democratico e, se diviene democratico, perde il potere.
L’URSS degli anni ’80 era come una diga fatiscente prossima al crollo sotto il peso del bacino idrico. Con la parziale liberalizzazione dello Stato e della società Gorbačëv aprì le paratoie per far fluire un po’ d’acqua, ma dopo 70 anni di sfacelo comunista bastò uno spiraglio e la pressione accumulata trascinò con sé l’intera struttura. Glasnost e Perestrojka pertanto accelerarono la comunque inevitabile dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma introducendo un accenno di democrazia forse la resero meno violenta di come avrebbe potuto essere.
Dopo cinque anni di disastri (da Chernobyl alla politica estera) all’inizio del ’91 Gorbačëv dovette implorare prestiti dall’Occidente, che vennero dati per evitare il completo disfacimento dello Stato sovietico. Il Paese era ormai in decomposizione e le repubbliche più periferiche stavano attuando la secessione, malgrado i tentativi anche sanguinosi del Governo centrale di impedirlo.
A quel punto Gorbačëv, forse per disperazione, indisse un referendum in cui chiese a tutti i cittadini se intendessero rinnovare lo Stato in senso democratico e meno centralizzato. Le repubbliche baltiche, la Georgia, l’Armenia e la Moldavia boicottarono la consultazione, in quanto già avviate all’indipendenza, ma nel resto dell’URSS i SÌ furono il 77.85%.
La cerimonia moscovita di trasformazione dell’Unione Sovietica nella nuova Unione degli Stati Sovrani avrebbe dovuto celebrarsi il 20 agosto, ma non ebbe mai luogo: il giorno prima i dirigenti sovietici della vecchia guardia comunista tentarono il famigerato Golpe d’Agosto. I successivi tre giorni rappresentarono un’incredibile accelerazione della storia, che rimise le terre dell’ex impero russo sul percorso naturale da cui i comunisti le avevano fatte deviare con un altro golpe, quello dell’ottobre 1917.
Gorbačëv venne messo agli arresti domiciliari in Crimea e Mosca occupata da reparti armati. Furono preparati trecentomila mandati d’arresto e creata una commissione governativa d’emergenza guidata da reazionari bolscevichi. Ma la popolazione di Mosca non accettò l’ennesima violenza e sotto la guida eroica di Eltsin (iconica l’immagine di lui che sale su un carro armato dei golpisti) si mobilitò in massa e cominciò a costruire barricate per le strade.

I soldati rifiutarono di combattere per una cricca criminale in nome di un’ideologia fallita e fraternizzarono con la folla. Eltsin, in un tripudio di bandiere russe tricolori, prese il controllo della situazione e reparti fedeli alle istituzioni affluirono rapidamente su Mosca. Uno dei capi golpisti si suicidò, gli altri furono arrestati.
Gorbačëv rientrò nella capitale. Ma anche per lui era finita: sia i leader riformisti guidati da Eltsin che i popoli sovietici avevano compreso che l’URSS fosse al contempo putrefatta ed irriformabile. Le dichiarazioni d’indipendenza delle varie repubbliche si susseguirono velocemente e lo sfacelo dello Stato comunista fu tale che non si mantenne l’unione nemmeno delle tre Nazioni slavo-orientali di Russia, Bielorussia ed Ucraina (quest’ultima scelse l’indipendenza con un referendum dove i SÌ furono l’84,18%).
L’8 dicembre il Presidente russo Eltsin ed i suoi colleghi bielorusso ed ucraino firmarono la dissoluzione ufficiale dell’URSS. Il 25 dicembre 1991 Gorbačëv si dimise da Presidente di uno Stato che ormai non esisteva più e la bandiera rossa con falce e martello venne ammainata dal Cremlino, sostituita con il tricolore nazionale russo di zarista memoria.
Storici e analisti spesso si chiedono se, senza il folle e dilettantesco Golpe d’Agosto, la riforma istituzionale di Gorbačëv avrebbe potuto salvare lo Stato sovietico. Probabilmente no. Il disastro economico socialista ormai era totale, al punto che le autorità non riuscivano a controllare gli scontri etnici ed i separatismi nazionali.
Il fatto stesso che la vecchia guardia marxista abbia tentato l’azione violenta dimostra che l’epoca della dittatura di matrice leninista, basata sul Partito-Stato, era finita: Gorbačëv avrebbe potuto salvare l’unità dell’URSS (comunque solo della parte slava) soltanto democratizzandola, quindi uccidendo l’ideologia totalitaria comunista sulla quale essa si reggeva.
In alternativa, avrebbe potuto combattere per salvare l’ideologia totalitaria del Partito Comunista come fecero i golpisti, ma il comunismo era proprio ciò che aveva portato lo Stato alla decomposizione. Gorbačëv tentò quindi una terza via, ovvero riformare l’ideologia comunista, sperando che ciò avrebbe rivitalizzato uno Stato che però non aveva ragion d’essere senza quella medesima ideologia.
Il fallito Golpe d’Agosto accelerò e rese più brutale il crollo, ma il tentativo di Gorbačëv era già fallito a prescindere dai deliri della vecchia guardia.
Tuttavia, è proprio qui, dopo questo obbligatoriamente scarno ripasso storico, che possiamo avviare il nostro esercizio di ucronia.
Immaginiamo che Brežnev sia morto nel gennaio 1980 e non nel novembre 1982. Al contempo diamo ad Andropov un po’ più di salute, facendolo governare dal 1980 al 1985. In un quinquennio, lo spietato ex Presidente del KGB avrebbe potuto rendersi conto della sostanziale irriformabilità dell’URSS ed avviare, di conseguenza, riforme economiche più audaci, magari sulla falsariga di quelle di Deng Xiaoping in Cina (il quale a sua volta probabilmente si ispirò alla NEP di Lenin). Il tutto con alle spalle l’apparato del KGB ed una spietatezza personali che mancarono a Gorbačëv.
Le riforme del “Quinquennio Andropov” non avrebbero invertito il corso della storia, ma avrebbero messo un po’ di denaro da parte per rendere meno disastroso lo sfacelo dello Stato. Con la morte nell’85 dell’ex leader del KGB Gorbačëv sarebbe subentrato senza il penoso intermezzo di Černenko, ereditando burocrazia ed amministrazione un filino meno corrotte. Ciò avrebbe potuto benissimo evitare il Disastro di Chernobyl, che coi suoi costi economici e la sua criminale gestione politico-propagandistica rinfocolò l’odio degli ucraini per tutto ciò che è russo (non che dopo l’Holodomor ce ne fosse bisogno, ma all’epoca l’effetto Chernobyl mise il carico da novanta).
In queste condizioni, la Glasnost e la Perestrojka di Gorbačëv avrebbero salvato l’URSS ed il comunismo? Sicuramente no. Ma probabilmente, e qui sta l’affascinante SE di questo sterile esercizio, avrebbero reso più dolce il crollo del regime e, in assenza di Chernobyl, forse persino mantenuto sotto il controllo di Mosca le altre due Nazioni slave orientali, quella bielorussa (la sorella gemella) e quella ucraina (la sorella più desiderata).
Ciò avrebbe significato che la Russia di oggi, controllando (magari in forma federata) anche l’Ucraina e la Bielorussia, non sarebbe un vassallo della Cina guidato da un tiranno sempre più simile ad Hitler nel bunker di Berlino, ma né più né meno che un nuovo Impero russo, più smagrito del vecchio, ma anche etnicamente più compatto.
E l’attualità sarebbe molto, ma molto diversa…




