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La Notte di Yaldā

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Quando la notte più lunga diventa un “patto con la luce”

La notte del solstizio d’inverno, in molte culture, è un confine: astronomico, perché segna il punto più basso del sole sull’orizzonte; simbolico, perché costringe le comunità a misurarsi con il buio e con l’idea stessa di “fine”. In Iran e in altre aree di cultura persiana questo confine ha un nome preciso: Shab-e Yaldā, la Notte di Yaldā, chiamata anche Shab-e Chelleh (la “notte dei quaranta [giorni]”).

È una celebrazione domestica e insieme pubblica, antica e attuale, che ha resistito a cambiamenti religiosi, riforme del calendario, trasformazioni urbane e migrazioni. Dal punto di vista storico e antropologico, Yaldā è un caso esemplare di come un fenomeno naturale – il solstizio – possa essere “tradotto” in rito, in memoria e in identità collettiva.

Un nome che racconta un incontro di mondi

Il termine Yaldā non nasce in persiano: è un prestito di area siro-aramaica legato all’idea di “nascita” o “natività”. Le fonti di taglio storico-letterario ricordano che, in età islamica, la notte del solstizio era conosciuta anche con il suo nome siriaco, associato alla “notte della natività”, e che questo legame ha lasciato tracce persino nella poesia, dove la notte più lunga può diventare metafora di attesa, separazione, prova.

Accanto a Yaldā, l’altro nome – Chelleh – apre invece una finestra su un modo tradizionale di organizzare il tempo stagionale: la cultura popolare iraniana parla di periodi di quaranta giorni che scandiscono l’inverno. La “grande chelleh” inizia proprio con il solstizio, e la sua prima notte è quella in cui la famiglia si raduna. L’etichetta “quaranta” non è casuale: in molte culture questo numero indica durata, compimento, passaggio. Qui, più concretamente, definisce l’avvio del tratto più duro dell’inverno.

Il solstizio dal punto di vista sociale: dal cielo alla casa

Per comprendere Yaldā non basta dire “si celebra il solstizio”. Il punto è come una società decide di abitare quel momento. Nelle letture tradizionali, la notte più lunga è anche la più esposta: un tempo in cui le forze negative – comunque le si chiami – sono percepite come più vicine. La risposta non è la fuga, ma la compagnia: si resta svegli, si mangia, si racconta, si recitano poesia. In termini antropologici, è una strategia di “messa in sicurezza” tramite comunità: la casa piena, il fuoco o la luce, il cibo condiviso, la parola detta ad alta voce.

Lo schema è riconoscibile anche fuori dall’Iran: molte società, davanti al culmine del buio, costruiscono riti che fanno la stessa cosa con linguaggi diversi. Ma Yaldā ha un tratto specifico: è intensamente domestica. Non serve un tempio; non serve un’autorità rituale. Serve una tavola, un anziano che “tiene” la casa, una costellazione di gesti trasmessi in famiglia. Anche per questo la Notte di Yaldā è sopravvissuta a cambi di regime simbolico: quando una festa vive nelle case, è più difficile sradicarla.

La tavola di Yaldā: simboli da mangiare

Il centro della celebrazione è spesso descritto come una tavola apparecchiata di segni, in cui gli oggetti non decorano: parlano. Nelle descrizioni contemporanee, riconosciute anche in sede internazionale, ricorrono:

  • una lampada o una fonte di luce (la luce come promessa);
  • acqua (purezza, ordine, vita);
  • frutti rossi (calore, sangue, alba, vitalità), tra cui spiccano melograno e anguria;
  • frutta secca e dolci, zuppe e cibi preparati “per l’occasione”.

Qui il simbolismo non è astratto: è incorporato. Il rosso dei frutti – e in particolare del melograno – porta in casa un anticipo visibile dell’alba. L’anguria, poi, è un elemento culturalmente potentissimo perché “fuori stagione”: la si conserva dall’estate per mangiarla nel cuore dell’inverno. È un gesto che narra, senza parole: l’estate non è sparita, è custodita. Le fonti folkloriche raccolte in ambito accademico riportano credenze legate proprio al consumo dell’anguria in questa notte, associandola alla salute e al benessere nella stagione calda successiva: come se il corpo, mangiando “estate”, stipulasse un patto con l’anno che verrà.

Non mancano credenze protettive più minute, legate a cibi specifici: alcune tradizioni regionali attribuiscono a certi frutti e aromi (aglio, melograno, pere, olive verdi, ecc.) qualità di difesa contro mali e pericoli. Letta antropologicamente, è una farmacologia simbolica: non importa “se funzioni” in senso medico, importa che trasformi la paura dell’inverno in un insieme di gesti controllabili.

Storie, poesia, divinazione: la parola come rito

Dopo il cibo, viene la parola. La Notte di Yaldā è una festa di narrazione: storie familiari, aneddoti, fiabe, memoria degli assenti. In molte case si leggono anche testi classici. Due nomi, più di altri, ricorrono nelle descrizioni moderne: Ḥāfeẓ e lo Shāhnāmeh (il “Libro dei Re”). Ma l’elemento più caratteristico è forse la divinazione attraverso il Divān di Ḥāfeẓ (il cosiddetto fāl-e Ḥāfeẓ): si apre il libro e si interpreta la poesia come risposta a una domanda o come orientamento per l’anno che verrà. Le fonti iranistiche segnalano persino regole di prudenza: non ripetere troppe volte l’estrazione, per non “irritare” simbolicamente il poeta.

Questa pratica è un capolavoro di equilibrio tra cultura alta e cultura popolare. Ḥāfeẓ è un classico, dunque patrimonio; ma l’uso che se ne fa è intimo, quotidiano, quasi confidenziale. La poesia diventa un dispositivo sociale: autorizza a dire desideri e timori, permette di parlare dell’incerto senza farne un tabù, crea un linguaggio condiviso tra generazioni.

Yaldā “di ieri”: economia stagionale e comunità allargata

Se proviamo a immaginare la Notte di Yaldā in un contesto preindustriale, vediamo emergere la sua logica materiale. Il solstizio non era soltanto una data: era una soglia dentro una stagione che poteva significare scarsità, malattia, isolamento. La celebrazione, allora, funzionava anche come redistribuzione (cibo e dolci preparati), come conferma dei legami (si va dagli anziani), come contrasto all’isolamento (si resta insieme svegli). In molte zone, la famiglia non è soltanto nucleo ristretto: è famiglia estesa, rete di parentela. Ed è significativo che la notte si passi spesso nella casa dei più anziani, quasi a dire che, nel punto più buio dell’anno, la società si ancora alle sue radici viventi.

Rappresentazione artistica della Notte di Yaldā nel passato.
Rappresentazione artistica della Notte di Yaldā nel passato.

Anche l’idea di “stare svegli” ha una doppia faccia: pratica (tenere vivo il fuoco, condividere il lavoro di cura) e simbolica (vigilare). Diverse sintesi antropologiche ricordano che, secondo rappresentazioni antiche, questa era la notte in cui si potevano temere influenze negative; la veglia comune diventa allora una risposta comunitaria al rischio percepito.

Yaldā oggi: patrimonio, mezzi di comunicazione, migrazioni

Dalla casa alla scena pubblica: cosa cambia nella modernità

La modernità non ha cancellato Yaldā, ma l’ha “spostata”. Oggi la celebrazione continua a essere domestica, ma vive anche in forme più visibili: eventi culturali, programmi radiotelevisivi, iniziative di associazioni, incontri nelle università, feste nelle comunità migranti. Un elemento decisivo è la circolazione mediatica: fotografie della tavola, letture poetiche condivise, messaggi rituali. In altre parole: ciò che prima restava nella casa ora può diventare racconto pubblico.

Questo passaggio è stato riconosciuto anche sul piano istituzionale: Yaldā/Chella è stata iscritta nel 2022 nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, con riferimento alla pratica in Iran e Afghanistan. È un fatto importante non perché “crei” la tradizione (che è molto più antica), ma perché la mette in una cornice contemporanea: tutela, trasmissione, educazione, valorizzazione.

L’iscrizione evidenzia anche valori sociali collegati alla festa: identità culturale, amicizia, ospitalità, rispetto, e un ruolo riconosciuto alle donne nella trasmissione dei saperi domestici (ricette, rituali familiari, organizzazione della casa).

Continuità e trasformazioni: la grammatica del rito resta, cambiano i dettagli

Dal punto di vista antropologico, Yaldā è interessante perché mostra una regola generale: i riti durano quando sanno cambiare senza perdere la loro grammatica. La grammatica di Yaldā è fatta di pochi elementi stabili:

  1. si sta insieme (famiglia e amici);
  2. si attraversa il buio con luce e cibo;
  3. si racconta e si ascolta (storie, poesia);
  4. si produce un augurio praticabile (salute, fortuna, coesione).

I dettagli, invece, sono storicamente mobili: cambiano le ricette, cambiano i luoghi (appartamenti urbani anziché grandi case), cambiano gli orari (vita di città), cambiano persino i linguaggi (foto, video, inviti digitali). Eppure, il cuore resta riconoscibile.

Il tema luce/buio: dalla cosmologia alla metafora civile

Le interpretazioni “classiche” insistono spesso sulla vittoria della luce sulle tenebre e, in alcune letture, sul legame con antiche figure solari. È un piano reale della tradizione, ma non esaurisce il significato contemporaneo. Oggi la polarità luce/buio diventa anche metafora civile: resistere a un inverno (materiale o simbolico), proteggere la vita quotidiana, cercare speranza collettiva.

Non a caso, molte presentazioni divulgative recenti collocano Yaldā nel più ampio quadro delle feste del solstizio nel mondo, mostrando come le società, in epoche diverse, abbiano trasformato lo stesso evento naturale in linguaggi culturali differenti.

Una festa “portatile”: Yaldā nelle comunità migranti

Un aspetto cruciale, spesso sottovalutato, è la portabilità del rito. Yaldā si presta a essere celebrata ovunque perché non richiede infrastrutture complesse: basta una tavola, una luce, alcuni cibi simbolici, un libro di poesie, una rete di relazioni. Questo la rende particolarmente adatta alle comunità iraniane e afghane fuori dai Paesi d’origine: la festa diventa un modo di ricostruire “casa” attraverso gesti ripetibili, e di trasmettere ai più giovani una memoria che non è solo discorso ma esperienza. Anche quando i significati religiosi o cosmologici si attenuano, resta l’ossatura sociale: incontrarsi, riconoscersi, raccontarsi.

La locandina per la Notte di Yaldā pubblicata dall'ambasciata iraniana in Italia.
La locandina per la Notte di Yaldā pubblicata dall’ambasciata iraniana in Italia.

Yaldā come archivio di cultura materiale: conservare l’estate, organizzare l’inverno

C’è un dettaglio che, più di altri, condensa l’intelligenza storica della tradizione: la conservazione. Conservare frutti, preparare dolci, tenere da parte l’anguria, raccogliere frutta secca: tutto questo, “ieri”, rispondeva a un’economia stagionale. “Oggi” può essere più semplice (si compra), ma il gesto conserva la sua forza simbolica: portare l’estate dentro l’inverno.

Per l’antropologia dell’alimentazione, questo significa che il cibo non è solo nutrimento: è un linguaggio. Mangiare rosso nella notte più lunga è dire: domani ricomincia.

Un rito di soglia: perché Yaldā continua a parlare

Se dovessimo riassumere Yaldā in una definizione antropologica, potremmo chiamarla rito di soglia stagionale. Si colloca in un passaggio oggettivo (la curva del sole) e lo trasforma in un passaggio sociale (la casa che si riempie, la parola che circola, la speranza che si formula). La sua resilienza dipende da tre fattori:

  • semplicità strutturale (pochi elementi essenziali);
  • centralità della famiglia e dell’ospitalità;
  • capacità di aggiornarsi senza perdere riconoscibilità.

In questo senso, Yaldā non è soltanto “una festa antica”: è un dispositivo culturale che, ogni anno, rimettere insieme tempo naturale e tempo umano. E ci ricorda una cosa elementare, ma non banale: il buio non si attraversa da soli.


Riferimenti bibliografici:

  • Encyclopaedia Iranica. (1990/2013). ČELLA (articolo di M. Omidsalar & H. Algar; pubblicato 15 dicembre 1990; ultimo aggiornamento 1 aprile 2013). Encyclopaedia Iranica
  • Encyclopaedia Iranica. (2009/2012). SADA FESTIVAL (articolo di A. Krasnowolska; pubblicato 15 agosto 2009; ultimo aggiornamento 26 ottobre 2012). Encyclopaedia Iranica
  • Human Relations Area Files. (2018, 24 dicembre). Winter Solstice Celebrations Around the World. HRAF. hraf.yale.edu
  • UNESCO Intangible Cultural Heritage. (2022). Yaldā/Chella (01877). United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization. ICH UNESCO
  • University of Pennsylvania. (2018, 20 dicembre). Marking the winter solstice, from Neolithic times to today. Penn Today. penntoday.upenn.edu
  • Encyclopaedia Britannica. (2025, 1 novembre). 7 Winter Solstice Celebrations From Around the World (sezione “Yalda”). Encyclopedia Britannica
  • Storico, divulgatore storico ed insegnante di materie umanistiche. Con un'esperienza decennale nel mondo dell'insegnamento, da cinque anni possiede il canale "Incontri di Storia", dove si occupa soprattutto di Storia Antica, di Mesopotamia, Vicino e Medio Oriente. Attualmente collabora con diverse testate, tra cui "Caput Mundi".

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