I leoni serpenti, i serpenti leoni
Quella sempre più residuale parte di mondo attenta, che tenta a fatica di non farsi mettere all’angolo dalle propagande e dalle granitiche convinzioni che fanno sentire al sicuro i pigri rendendoli spesso boia impuniti del pensiero critico, vive queste ore in apnea, con lo sguardo fisso al quadrante mediorientale, con la paura di sentire sulla pelle un’altra guerra (o forse la guerra di sempre) fatta di morti, feriti, distruzione e collera a strati, che rompe la bolla sempre più sgonfia in cui vive l’opinione pubblica occidentale, quella delle bandiere della pace e dei propositi encomiabili e impeccabili per un pianeta che di contro gli fa le pernacchie e mostra i denti.
Il Governo Netanyahu ha attaccato la Repubblica islamica dell’Iran con una forza e una determinazione mai usate prima. L’operazione “leone nascente” è stata lanciata per “scuoiare il serpente iraniano” (virgolettati del premier e del ministro della difesa di Tel Aviv), privarlo dell’arma nucleare e di ogni velleità militare che possa arrecare danno diretto o indiretto allo Stato di Israele. Bombardamenti a tappeto su molteplici obiettivi e omicidi sincronizzati di diverse figure apicali di vertici governativi e militari di Teheran. Siti di stoccaggio, laboratori, depositi, raffinerie ma anche target civili, da nord a sud. Oggetto del bombardamento anche la meravigliosa città di Isfahan, sito storico e culturale millenario.
I caccia israeliani si muovono sopra i cieli della Repubblica Islamica con una facilità e una libertà in parte dovute ad un sistema di difesa iraniano fortemente compromesso dalle operazioni del Mossad, che ha infiltrato numerose cellule in terra nemica, e in parte ad un livello di tecnologia militare che, stando a quanto si evince, è particolarmente obsoleto. Efficace è invece la reazione offensiva degli Ayatollah che possono contare su decine di migliaia di missili balistici e droni che sui cieli di Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme illuminano la notte a giorno costringendo milioni di cittadini israeliani a rifugiarsi continuamente sottoterra al suono costante e martellante delle sirene antiaeree.
A difesa di Israele, per respingere in cielo la pioggia di missili, c’è il sistema avanzato Iron Dome e le forze militari americane e britanniche che, con interventi congiunti, sopra spazi aerei di paesi terzi particolarmente “comprensivi” evitano che venga letteralmente cancellato lo Stato ebraico: desiderio più volte espresso dalle frange più radicali del regime iraniano. A supporto invece della reazione militare diretta di Teheran, i leali Houthi che dallo Yemen martellano da mesi la stella di David.
Le immagini che giungono dalle città dell’uno e dell’altro paese sono molto simili e raccontano di quanto già sopra specificato: morti, feriti, distruzione e collera a strati. Si susseguono i comunicati al vetriolo; minacce cariche di retorica, allegoria e metafore che a quelle latitudini sono tipiche delle narrazioni di guerra e degli appelli alla popolazione.
Ma c’è di più. Il leone nascente potrebbe non parlare solo ebraico, anzi già parla farsi. Non solo Netanyahu continua nuovamente a rivolgersi in lingua locale alla popolazione iraniana, chiedendo loro di ribellarsi agli Ayatollah e riportare i due Stati alla pace con un cambio di regime, ma a farlo sono anche gli eredi dello “Scià che fu” (negli anni in cui a Teheran si girava in minigonna e si faceva aperitivo): la famiglia Pahlavi in esilio che sostiene a spada tratta l’intervento israeliano e culla il desiderio di tornare al potere con la cacciate delle Guardie della Rivoluzione. Prestiamo bene attenzione: la famiglia pahlavi nel suo stemma ha un leone nascente.
La si può pensare come si vuole sul premier israeliano; sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale e il suo nome è, per buona parte di mondo, sinonimo di criminale di guerra, destabilizzatore, guerrafondaio. A sospendere per un attimo ogni giudizio etico e morale e a concentrarsi solo ed esclusivamente sulla cinica guerra, fatta di decisioni, opportunità e rapporti di forza, si riescono a vedere i contorni della perfetta congiuntura storica per “l’uomo giusto, al momento giusto, nel posto giusto”.
Il governo israeliano, messo a dura prova anche dalle sacrosante proteste interne e dalle inqualificabili e mostruose immagini di Gaza, mai come in questi mesi può agire indisturbato a ridisegnare il Medioriente per i prossimi decenni, facendolo da una posizione dominante. Gli Stati Uniti complici, l’Europa assente e impotente, la Russia in altre faccende affaccendata, l’Arabia Saudita e gli emirati fintamente critici ma convintamente conniventi, la Siria ridotta ad un nulla bel manipolabile, il Libano di Hezbollah e la Palestina di Hamas quasi del tutto annientate dallo sforzo bellico israeliano.
Beh, insomma, tutto lasciava credere all’arrivo di una resa dei conti tra titani e di questo oggi parliamo.
Ma attenzione alle metamorfosi, ai leoni che strisciano e ai serpenti che ruggiscono.