Reportage Caput Mundi: la Nuova Capitale Amministrativa egiziana
Ci vogliono certamente una visione chiara e una volontà ferma per concepire il progetto di costruire una nuova città dal niente e nel niente.
È il caso della Nuova Capitale Amministrativa egiziana, voluta fortemente dal presidente Abdel Fattah al-Sisi essenzialmente per alleggerire Il Cairo dal sovraffollamento e dal traffico, ma anche per spostare il centro del potere decisionale del Paese verso est, avvicinandolo al Canale di Suez, distante circa 70 km, e ai due porti principali e alla penisola del Sinai, una zona calda e politicamente instabile.
Storicamente, l’Egitto ci ha abituato a progetti giganteschi: senza scomodare le piramidi (che restano un capolavoro di architettura e ingegneria senza pari), il Canale di Suez e la diga di Aswan sono esempi di opere pubbliche, realizzate in epoche diverse, di grandissimo impegno. Faraoniche.
Esattamente come la nuova città progettata a circa 45 chilometri a est della capitale. La superficie totale prevista sarà di circa 950 km² (quasi 2/3 di Roma) ed è destinata ad accogliere 5-6 milioni di persone quando saranno terminate le quattro fasi di sviluppo del progetto.
Per farcelo spiegare, Caput Mundi ha intervistato Khaled El-Husseiny, portavoce ufficiale di ACUD (Administrative Capital for Urban Development), la società statale proprietaria dell’intero progetto che si occupa dello sviluppo urbano della Capitale Amministrativa e gestisce la nuova capitale egiziana.
«ACUD ha assunto la responsabilità dell’intero progetto, su mandato diretto del governo. La società è stata fondata nell’aprile 2016», spiega l’intervistato, sottolineando come il modello di business si fondi sulla vendita diretta degli spazi: «Vendiamo ogni singolo spazio, specialmente se è commerciale o amministrativo. Quindi noi creiamo un valore aggiunto per questo deserto, senza nessun tipo di sviluppo iniziale».
Spiega El-Husseiny: «L’idea, quando fu concepito il progetto, era di trasferire qui tutte le principali istituzioni governative: ministeri, Parlamento, Senato, complesso presidenziale. Con il tempo, però, ci siamo accorti che il progetto andava oltre: non solo il governo, ma anche il settore privato e i cittadini avrebbero vissuto qui. Così la città ha iniziato ad assumere i contorni di una vera e propria nuova città egiziana, non soltanto amministrativa. Questa nuova città segue la stessa logica di altre città fondate o sviluppate in Egitto negli ultimi decenni: penso alle città chiamate “New Cairo” (300 ettari, circa il doppio di Milano), “6 Ottobre“, “Città del decimo Ramadan“, “Nuova Sadat” o “Nuova Alamein“. In Egitto siamo, credo, la seconda o terza realtà urbana più grande dell’Africa, dopo la Nigeria e forse l’Etiopia: la popolazione supera i 105 milioni di abitanti. Un numero enorme, che impone allo Stato un ruolo fondamentale nell’offrire ogni anno nuove unità abitative, soprattutto per le giovani famiglie».



La città non ha ancora un nome ufficiale e la questione è ancora aperta. «Stiamo cercando di abbandonare l’etichetta di “città amministrativa” e di costruire una nuova identità. Stiamo valutando nomi alternativi possibili, ispirati alla tradizione e alla storia dell’Egitto: Kemet, Thebes… Abbiamo chiesto direttamente ai cittadini di contribuire con proposte, attraverso il sito ufficiale della compagnia, e sono arrivati oltre mille suggerimenti di nomi e loghi; abbiamo raccolto le idee in un volume con circa cento opzioni che stiamo ancora studiando».
Creare un’identità è fondamentale: «Lo abbiamo visto in altre città egiziane come Sharm el-Sheikh, Aswan, Luxor, Alessandria. L’identità visiva aiuta le persone ad affezionarsi a un luogo e a sentirlo proprio».
Le regole edilizie sono chiare e orientate alla qualità urbana: «Per costruire c’è bisogno di un permesso. Noi abbiamo un concetto urbanistico che chiamiamo “area costruita”. Di solito puoi edificare sul 60% della superficie; per esempio, se hai un lotto di 1.000 m², puoi costruire su 600 m². Ma nel nuovo mercato le nostre regole permettono solo il 25% perché non abbiamo bisogno di una giungla di cemento. Vogliamo appartamenti circondati da verde e spazi aperti».
La nuova capitale amministrativa è pensata come città verde, intelligente e sostenibile. «Non è un lusso, ma una necessità. Le regole edilizie sono severe: per esempio, ogni edificio deve avere il tetto ricoperto da pannelli solari. Grazie a questo, nel distretto governativo già oggi produciamo il 20% dell’energia necessaria per la prima fase della città». L’obiettivo è arrivare a coprire con energie rinnovabili il 30% del fabbisogno e ogni cittadino avrà a disposizione almeno 15 m² di spazi verdi.







Tutti i trasporti sono elettrici: autobus e veicoli non utilizzano né carburante né gas naturale. Le infrastrutture di collegamento sono un altro punto di forza. Accanto alle nuove arterie stradali, sono già operativi o in fase di completamento sistemi di trasporto moderni: «Abbiamo in costruzione la linea ferroviaria ad alta velocità, un treno che collega direttamente il Mar Rosso con il Mar Mediterraneo, dal porto di Sokhna alla città di Alamein». A questo si aggiungono «il treno LRT, già operativo», e il monorotaia, «che dovrebbe iniziare in autunno di quest’anno».
El-Husseiny approfondisce il concetto: «Offriamo incentivi ai costruttori che scelgono di realizzare edifici sostenibili: più superficie edificabile, tempi più lunghi per il completamento».
È stata anche annunciata la costruzione della prima torre a zero emissioni di carbonio in Egitto. «La nuova capitale rappresenta un punto nevralgico per lo Stato» chiosa orgoglioso.
La posizione è stata scelta con cura: «Ci vuole circa un’ora, dipende dal traffico, per raggiungere piazza Tahrir, il centro della città». Dal punto di vista dimensionale, il progetto complessivo copre circa 950 km², divisi in quattro fasi. La prima fase, di oltre 220 km², include gli edifici governativi principali. «Abbiamo raggiunto quasi il 70% di questa fase», precisa.
Il piano generale è vastissimo e comprende le torri, otto distretti residenziali, i canali, il distretto governativo, il Senato, l’edificio parlamentare, il complesso presidenziale, il distretto diplomatico. Inoltre, prevede sistemi di intelligenza artificiale per ottimizzare l’uso di elettricità, gas e acqua, e copertura 5G per la connessione internet.
El-Husseiny sintetizza gli obiettivi che guidano ACUD: «Lo slogan che riassume lo spirito della nuova capitale è “Dream Control”: sviluppo sostenibile, intelligenza urbana e qualità della vita per i futuri abitanti».
Un ruolo importante è assegnato anche alla cultura: «La seconda fase è creare la città dell’arte e della cultura. Penso che la cultura sia fondamentale. È molto importante per un paese», e infatti sono già stati costruiti il nuovo teatro dell’Opera, all’avanguardia dal punto di vista tecnico-scenografico, una splendida sala da concerti, la biblioteca nazionale e un museo dedicato espressamente alle città che sono state capitale dell’Egitto, dal tempo dei faraoni ai giorni nostri.
Fiore all’occhiello (è il caso di dirlo) è il Green River, il “Fiume verde”, il cuore verde della Nuova Capitale Amministrativa. È un parco urbano che si estende per oltre 35 chilometri, con una superficie complessiva di circa 2.509 ettari (circa 25 km²). Sarà uno dei parchi urbani più grandi al mondo, due volte più grande del Central Park di New York, e attraverserà l’intera città, collegando i venti quartieri residenziali previsti. Ci saranno spazi verdi, laghi artificiali, aree ricreative, piste ciclabili e zone per eventi culturali e sociali. Una grande sfida è la sua irrigazione, la gestione sostenibile delle risorse idriche in un paese che affronta una cronica scarsità d’acqua. Per questo è previsto un sistema avanzato con due impianti che sfruttano le acque reflue trattate per un totale [di] 1,6 milioni di metri cubi giornalieri. Si prevede che il parco attrarrà circa 370.000 visitatori al giorno, generando oltre 300.000 posti di lavoro e contribuendo significativamente alla crescita economica della capitale.



Un aspetto innovativo della nuova capitale riguarda la sicurezza, gestita in modo completamente tecnologico. «Non siamo come un distretto normale con polizia e soldati ovunque», spiega El-Husseiny. «Abbiamo due centri qui: uno è per la sicurezza, che chiamiamo CCC, il Centro Operativo e di Comando, e l’altro lo chiamiamo COC». Attraverso sensori e telecamere distribuiti in tutta la città, il CCC consente di monitorare, gestire e controllare ogni metro quadrato, non solo del distretto governativo. «Non abbiamo polizia all’interno dei ministeri, nessuna porta blindata, nessuna guardia visibile. Funziona tutto tramite tecnologia», precisa. Il sistema è stato sviluppato in collaborazione con compagnie internazionali come Atos (Francia) e Honeywell (USA), e include droni, personale addestrato e software avanzati. «Siamo qui, parte del distretto del governo, ma la gestione è intelligente e tecnologica», sottolinea. «Per esempio, nel mio ufficio c’è un rilevatore di movimento. Se lo lascio per pochi minuti, tutto si spegnerà all’interno: la luce e tutto il resto».
Dal punto di vista dimensionale, l’intero progetto copre circa 950 km² suddivisi in quattro fasi. La prima, di oltre 220 km² – include gli edifici governativi principali. «Abbiamo raggiunto quasi il 70% di completamento di questa fase», precisa Khaled El-Husseiny.
La prima fase risale al 2016, quando l’area scelta era ancora un deserto senza nessun tipo di sviluppo. «Sì, qui era un deserto, otto anni fa», ricorda El-Husseiny, mostrando le immagini satellitari che documentano l’evoluzione della città. Oggi sorgono otto distretti residenziali capaci di ospitare un milione e mezzo di persone.
Tra le infrastrutture già realizzate figurano una città sportiva con il nuovo stadio, una gigantesca struttura in grado di accogliere quasi 94.000 persone; la Knowledge City, la European University, la Canadian University, il complesso artistico e culturale e la stazione centrale degli autobus, che connette la capitale con il resto del Paese. Nella stessa area si trovano anche l’hotel a cinque stelle Al Masa, gestito da St. Regis, e diversi quartieri governativi.
Al centro della metropoli sorge l’Iconic Tower, il grattacielo inaugurato lo scorso anno che, con un’altezza di 396 metri, rappresenta la torre più alta del continente africano. Dotata di 77 piani, l’imponente struttura ospita diversi spazi adibiti a uffici, hotel e appartamenti.




Il 6 gennaio 2019 il presidente Al Fattah al-Sisi ha inaugurato contemporaneamente la cattedrale copta dedicata alla Natività di Cristo (la più grande d’Egitto e del Vicino Oriente) e la moschea al-Fattah al-Aleem che, con i suoi 450.000 m² di superficie e una capacità di 17.000 persone, è seconda in grandezza solo alla Grande Moschea della Mecca. Una curiosità: al suo interno si trova il lampadario più pesante del mondo, oltre 22 tonnellate.
E sempre a proposito di record, la bandiera nazionale rosso-bianco-nera sventola sull’asta più alta del mondo, certificata nel 2023 dal Guinness World Record: 202 metri. È il simbolo più visibile della Nuova Città Amministrativa. Attorno si sviluppano il Parlamento, il Senato, il palazzo presidenziale e il “People’s Park”, un grande parco pubblico. Accanto alla presidenza sorge il nuovo polo finanziario, con il Banco Centrale d’Egitto tra le istituzioni già trasferite.
In ogni caso, la Nuova Capitale Amministrativa non è pensata per i turisti:
«Non è come il Cairo o Giza. Perché questa è la storia del nostro Paese. Le piramidi e la Sfinge sono a Giza, dove ora stiamo preparando l’apertura del Grande Museo Egizio. Le vecchie moschee, le chiese, la cittadella sono al Cairo. Ma qui non abbiamo nulla di simile. È architettura moderna, è qualcosa di diverso. Credo che questa città sia per gli affari, per la qualità di vita. È una città intelligente, verde e sostenibile».


«Quando dico “noi”, non vuol dire solo ACUD. Vuol dire tutto il Paese!», sottolinea El-Husseiny, spiegando che lo Stato ha messo a disposizione solo il terreno e il capitale umano (alla costruzione hanno lavorato oltre 150.000 persone tra ingegneri, tecnici e operai, e gran parte del lavoro è stato realizzato da aziende egiziane).
Nonostante la scelta di costruire nel deserto possa sembrare azzardata, il portavoce precisa che «Non è la sabbia il problema. Viviamo qui da migliaia di anni, questa è la nostra natura. Abbiamo molte città nel deserto, da Sharm el-Sheikh a Hurghada. Lo sappiamo fare».
Sul piano dei progressi, «abbiamo raggiunto almeno il 70% della prima fase», con gran parte delle infrastrutture già ultimate. Un ruolo chiave sarà svolto anche dal nuovo aeroporto, nato da una riconversione di strutture militari: «Era un aeroporto militare, ora diventa civile, con due terminal e una torre di controllo». L’hub andrà ad affiancare il Cairo International Airport e il nuovo scalo di Sphinx.
L’ambizione del progetto affonda le radici da lungo tempo, quando già si parlava della necessità di alleggerire la pressione demografica della capitale storica. «Negli anni ’80 abbiamo avuto questa idea. Non stiamo scherzando su questo progetto: stiamo lavorando 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per finire quest’area di 162 km2, simile all’area di Washington D.C.» .
Il progetto è frutto di una cooperazione internazionale. La stima dei costi totali ruota attorno ai 58 miliardi di dollari, con finanziamenti internazionali della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, ma anche da altri soggetti, come fondi cinesi.
«Non si tratta di un progetto interamente egiziano. È impossibile, oggi, realizzare un’opera di queste dimensioni senza il contributo internazionale: neppure Stati Uniti o Cina lavorano da soli, viviamo in un’epoca di globalizzazione. Detto questo, la gran parte dei lavori – circa il 95-96% – è stata eseguita da imprese egiziane. Tuttavia, per alcuni settori specifici ci siamo affidati a partner esteri. Per esempio, l’area delle torri è stata realizzata grazie a una partnership del Ministero dell’Edilizia con una compagnia cinese. Collaboriamo anche con aziende americane e coreane come Carrier e LG per i sistemi di raffreddamento; con Dorsch, compagnia tedesca, per il raffreddamento idrico; e con Atos, società francese, per la gestione elettrica della città». In tutto questo non c’è alcuna partecipazione italiana.




Un aspetto sottolineato riguarda la gestione finanziaria: «La cosa più straordinaria è che, al di fuori del budget annuale del governo, le entrate derivano principalmente dalla vendita dei terreni a investitori e sviluppatori. Lo Stato ha messo a disposizione solo il terreno e il capitale umano» [correzione punteggiatura]. Spiega El-Husseiny: «Abbiamo iniziato a vendere la terra e a ricevere denaro. Il prezzo è molto alto e lo investiamo soprattutto nelle infrastrutture».
Sul piano finanziario, il manager evidenzia l’entità degli investimenti: «Abbiamo avuto buoni risultati con molti investitori e abbiamo speso molto, più di 30-40 miliardi per la prima fase. E tutti questi soldi non sono fondi pubblici». Il modello di business si fonda sulla vendita dei terreni agli sviluppatori: «Quando abbiamo iniziato a vendere la terra e a parlare con gli sviluppatori, non avevamo abbastanza denaro».
Alla domanda sul prezzo di un appartamento, spiega: «Non possiamo mettere un prezzo fisso per ogni unità, dipende dal mercato. Noi vendiamo solo il terreno. Sei un investitore e vieni da noi: io ti do la terra e tu mi dai il denaro». Una volta conclusa la transazione, ACUD garantisce le infrastrutture di base: «Il nostro compito è fornire tutte le utilità – internet, elettricità, acqua – fino al tuo appezzamento». Il resto è in mano agli sviluppatori: «Ad esempio, puoi costruire 100 appartamenti in un’area residenziale. Paghi il progetto e le utilità interne sono responsabilità tua. Poi inizi a vendere le tue unità e guadagni da questo».
La vendita dei terreni, soprattutto nelle zone di grattacieli e palazzi residenziali (60-70 piani), ha già raggiunto valori superiori a 2.000 dollari al metro quadro.
«La nostra politica è quella di semplificare l’ingresso agli investitori stranieri: chiunque arrivi da qualsiasi Paese trova qui una “finestra unica” che racchiude tutto – sanità, commercio, amministrazione, abitazioni. In questo modo la loro missione diventa più semplice».


