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Afghanistan – Pakistan: i Talebani sostengono il TTP?

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La notte tra l’11 ed il 12 ottobre

Tra l’11 ed il 12 ottobre si sono registrati violenti scontri tra l’esercito pakistano e le forze talebane afghane, in quello che viene descritto come il conflitto più grave tra i due Paesi dalla presa del potere dei talebani a Kabul nel 2021.

Secondo fonti di entrambe le parti, i combattimenti avrebbero causato pesanti perdite: il governo talebano ha reso noto di aver ucciso 58 soldati pakistani durante una serie di operazioni notturne lungo la linea di confine, sostenendo inoltre di aver conquistato 25 postazioni militari nemiche.

Da parte sua, l’esercito pakistano ha fornito un bilancio molto diverso, riferendo la morte di 23 propri soldati ed affermando di aver inflitto oltre 200 vittime tra i combattenti afghani. I talebani, tuttavia, ridimensionano queste cifre, parlando di appena nove caduti nelle proprie file.

Le informazioni diffuse dai due fronti non hanno potuto essere verificate in modo indipendente, poiché l’accesso all’area di confine resta fortemente limitato.

Il governo talebano afghano ha accusato Islamabad di aver violato la sovranità territoriale del Paese, definendo l’episodio un’azione “senza precedenti, violenta e provocatoria”.

La linea Durand che segna il confine tra Afghanistan e Pakistan.
La Linea Durand che segna il confine tra Afghanistan e Pakistan.

Secondo quanto comunicato dal Ministero della Difesa talebano, l’esercito pakistano avrebbe inoltre colpito un mercato civile nella provincia di Patika, nel sud-est dell’Afghanistan, causando la distruzione di diversi negozi. La notizia è stata confermata anche da testimoni locali, che hanno parlato al servizio afghano della BBC.

Da parte sua, il governo di Islamabad non ha né confermato né smentito l’esistenza di un attacco oltreconfine. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Peshawar, un alto ufficiale pakistano, il generale Ahmed Sharif Chaudhry, ha tuttavia dichiarato che “l’Afghanistan viene utilizzato come base operativa per attività terroristiche contro il Pakistan”, sottolineando che “saranno adottate tutte le misure necessarie per proteggere la vita e le proprietà dei cittadini pakistani”.

Le circostanze dell’episodio restano tuttavia poco chiare. Secondo quanto riferito da un corrispondente della BBC in Afghanistan, sul luogo indicato non sono stati trovati segni evidenti di esplosione, ma è stata segnalata una forte presenza di combattenti talebani e numerosi posti di blocco mobili.

In un comunicato ufficiale, il Ministero della Difesa del governo talebano ha messo in guardia Islamabad, sostenendo che un eventuale aggravarsi della situazione “sarebbe responsabilità dell’esercito pakistano”.

Nonostante il tono del messaggio, il ministro degli Esteri talebano, Amir Khan Muttaqi — in visita a Nuova Delhi — ha ribadito la volontà di mantenere relazioni stabili con il Pakistan.

Le motivazioni

Le relazioni tra Pakistan ed Afghanistan, un tempo caratterizzate da collaborazione, si sono deteriorate negli ultimi mesi. L’origine delle tensioni risiede nella richiesta di Islamabad a Kabul di agire contro il Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), formazione armata strettamente collegata ai talebani afghani.

Il TTP, che mira ad imporre una visione radicale della legge islamica, è particolarmente attivo nella provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa, area di confine con l’Afghanistan; le autorità di Islamabad sostengono che il gruppo operi liberamente dal territorio afghano, un’accusa che i talebani di Kabul respingono.

La bandiera del TTP.
La bandiera del TTP.

Negli ultimi anni, gli attacchi del TTP contro le forze di sicurezza pakistane si sono intensificati: un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel corso dell’anno ha evidenziato come il movimento riceverebbe un considerevole supporto logistico ed operativo dalle autorità de facto afghane, un chiaro riferimento al governo talebano.

Secondo dati riportati dall’agenzia AFP e citando fonti militari di Islamabad, tra gennaio ed il 15 settembre oltre 500 persone sono rimaste uccise in attentati riconducibili al gruppo, tra cui 311 soldati e 73 agenti di polizia.

Le tensioni hanno avuto ripercussioni anche sul piano economico: il Pakistan ha chiuso diversi valichi lungo la frontiera, lunga circa 2.600 chilometri, interrompendo di fatto il traffico commerciale tra i due Paesi. Come riferito da un rappresentante dell’industria pakistana all’agenzia Reuters, la decisione ha lasciato decine di camion carichi di merci bloccati su entrambi i lati del confine.

Le analisi

Secondo quanto riportato da Deutsche Welle, diversi esperti di politica e sicurezza regionale hanno espresso crescente preoccupazione per l’escalation di tensioni tra Islamabad e Kabul.

Omar Samad, già ambasciatore dell’Afghanistan in Canada ed attualmente membro senior non residente dell’Atlantic Council, ha avvertito che il deterioramento dei rapporti tra i due Paesi potrebbe sfociare in una violenza estesa ed in operazioni militari di ampia portata, con conseguenze potenzialmente irreversibili per le relazioni bilaterali. Samad ha attribuito l’attuale crisi ad una combinazione di errori strategici, fraintendimenti e cattiva gestione, che negli ultimi due anni hanno aggravato il divario tra l’establishment militare pakistano ed il governo afghano. Secondo quanto dichiarato da Samad, le parti coinvolte dovrebbero abbandonare le strategie aggressive ed intraprendere un percorso di dialogo costruttivo per affrontare le rispettive divergenze. L’analista ha sottolineato che, al di là della retorica e delle dimostrazioni di forza, entrambe le nazioni presentano punti di forza e fragilità profondamente diversi ma complementari. A suo giudizio, mentre l’Afghanistan ha poco da perdere di fronte ad una netta superiorità militare, il Pakistan risulta invece vulnerabile sul piano interno. Samad ha quindi invitato a privilegiare la via politica e la prudenza, richiamando alla necessità di un confronto sincero e trasparente. A suo avviso, non è più tempo di ambiguità, illusioni o atteggiamenti propagandistici.

Anche l’analista Michael Kugelman ha espresso preoccupazioni analoghe, sottolineando che una delle ripercussioni più probabili della crisi è un aumento degli attacchi di rappresaglia del Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP). Kugelman ha aggiunto che, sebbene i talebani afghani non dispongano della forza militare necessaria per fronteggiare l’esercito del Pakistan, essi sono comunque in grado di coordinare operazioni nei pressi delle aree di confine. Le eventuali azioni del TTP, presumibilmente incoraggiate da Kabul, rappresentano dunque una delle principali minacce alla stabilità del Paese.

Un’analisi simile è arrivata anche da Imtiaz Gul, direttore esecutivo del Center for Research and Security Studies di Islamabad. L’esperto ha sottolineato che, a seguito dei recenti scontri, il Pakistan si trova ora a fronteggiare una recrudescenza dell’attività militante del TTP. Secondo Gul, per contrastare il rischio di una nuova ondata di violenza sarà necessario potenziare le operazioni antiterrorismo e rafforzare le capacità d’intelligence, al fine di prevenire ulteriori attacchi e contenere la minaccia estremista.

Focus Pakistan

Le proteste scoppiate alla fine di settembre nel Kashmir amministrato dal Pakistan – una regione che Nuova Delhi continua a definire “Pakistan-occupied Kashmir” (PoK) – hanno riportato in primo piano profonde fragilità economiche ed istituzionali, oltre a generare episodi di violenza che hanno destato allarme a livello internazionale.

La regione del Kashmir oggetto della controversia.
La regione del Kashmir oggetto della controversia.

Le manifestazioni, promosse dal Jammu Kashmir Joint Awami Action Committee, sono iniziate il 29 settembre con uno sciopero generale, dopo il fallimento dei colloqui tra il movimento e le autorità locali. Gli organizzatori avevano diffuso un programma in 38 punti che includeva richieste di riforme politiche e sociali, riduzioni delle tariffe elettriche, sussidi per i beni di prima necessità ed un ampliamento dei servizi sanitari ed educativi.

Nel giro di pochi giorni le proteste si sono estese da Azad Kashmir – governata da un’amministrazione locale sotto il controllo di Islamabad – fino alla regione del Gilgit-Baltistan, direttamente amministrata dal governo pakistano. Gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza sono rapidamente degenerati. Secondo fonti locali ed agenzie internazionali, almeno dieci persone hanno perso la vita e decine sono rimaste ferite, tra civili ed agenti. Diverse testimonianze accusano le forze dell’ordine pakistane di aver sparato con munizioni vere contro dimostranti disarmati, ed il numero delle vittime potrebbe essere superiore a quello ufficialmente comunicato.

Le immagini diffuse sui social e dai media internazionali hanno suscitato condanne e reazioni diplomatiche. Il ministero degli Esteri indiano ha definito gli eventi “atrocità orribili”, attribuendoli a quello che ha descritto come “un approccio oppressivo e predatorio” da parte di Islamabad.

Di fronte all’aggravarsi delle tensioni, il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif ha inviato a Muzaffarabad una delegazione di alto livello guidata dall’ex premier Raja Pervaiz Ashraf, con l’obiettivo di favorire un accordo. Dopo due giorni di trattative, le parti hanno siglato un’intesa articolata in 25 punti che comprende, tra le principali misure, il risarcimento per le vittime, nuovi fondi destinati al potenziamento dei servizi elettrici e sanitari, la creazione di strutture educative ed una riorganizzazione dell’amministrazione locale volta a ridurre il numero di ministri e segretari.

L’esecutivo federale ha inoltre promesso un investimento di 10 miliardi di rupie pakistane — equivalenti a poco più di 30 milioni di euro — per migliorare le infrastrutture energetiche della regione, oltre a considerare la realizzazione di nuovi progetti stradali ed aeroportuali.

Pur presentando l’accordo come una vittoria per la pace, le autorità di Islamabad si trovano a fare i conti con un diffuso malcontento sociale nelle aree amministrate dal Pakistan. La durezza della reazione iniziale e la successiva necessità di concessioni economiche ed istituzionali mettono in luce le difficoltà del governo nel mantenere stabilità e consenso, in un contesto segnato da crisi economica, elevata disoccupazione e crescenti richieste di autonomia. Una situazione interna che contrasta con l’ambizione di Islamabad di consolidare il proprio ruolo strategico nelle dinamiche tra Medio Oriente, Asia Centrale ed Oceano Indiano.


Riferimenti bibliografici:

  • Dott.ssa in Scienze Internazionali Diplomatiche, Master in “Religioni e Mediazione culturale” e Master in “Antiterrorismo Internazionale”.
    Esperienze formative maturate presso Radio Vaticana e la Camera dei Deputati.
    Dal 2021 al 2023 membro del Comitato di Direzione della Rivista "Coscienza e Libertà", organo di stampa dell’Associazione Internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR).
    Fondatore del blog "Caput Mundi", supervisore sezione "Geopolitica" Nord Africa e Medio Oriente, cura le pubbliche relazioni del sito ed i contatti con l'esterno.
    Redattrice per “Il Talebano” e collaboratrice editoriale presso radio RVS, network hopemedia.it.

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