GeopoliticaGeopolitica e Relazioni InternazionaliPolitologiaScienze Sociali e UmanisticheStoriografia

Bolivia: la caduta dei giganti

4.7/5 - (304 votes)

La fine dell’esperienza governativa del socialismo

Alcuni accadimenti scuotono l’albero dalle radici arrivando a provocare la caduta dell’intero fusto. Allo stesso modo in politica alcuni avvenimenti risultano così radicali da determinare la fine di un’epoca quando, cioè, la cronaca del fatto diviene già storia.

È questo ciò che è accaduto in seguito ai risultati delle elezioni generali boliviane che hanno determinato l’esclusione del partito socialista dal governo. La caduta del movimento gemello a quello venezuelano, salito al potere nel 2006 grazie alla leadership di Evo Morales, fa ancora più rumore se si considera la quasi completa sparizione dalla rappresentanza del nuovo Parlamento. Escluso dalla ripartizione dei seggi al Senato e con un misero 3% dei consensi il Mas (Movimento per il socialismo) potrà contare solamente su due deputati per tutto il corso della prossima legislatura vedendosi di fatto esautorato anche dal ruolo di principale forza di opposizione.

Rodrigo Paz Pereira
Rodrigo Paz Pereira

Se il neo presidente Rodrigo Paz Pereira, considerato più centrista del suo sfidante al secondo turno e già ex presidente per un anno dall’agosto 2001 all’agosto 2002 Jorge Quiroga, si è già affrettato a dichiarare parole d’ordine in aperto contrasto con la storia di politiche sociali dell’ultimo ventennio proclamando un “capitalismo per tutti” mentre l’ex presidentessa ad interim Jeanine Anez è stata prontamente scarcerata tramite l’annullamento della sentenza che l’aveva condannata a scontare dieci anni di reclusione le cause della sparizione del socialismo dalla cartina politica boliviana sono da ricercare nelle diatribe interne fra i suoi principali esponenti.

Nessuno dei movimenti populisti sorti a partire dal nuovo millennio nella sfera indo-latina è riuscito a sopravvivere indenne al passaggio di testimone tra il leader di riferimento e i suoi delfini. Lo stesso si può affermare nel paragonare le presidenze di Morales, per tre mandati consecutivi dal gennaio 2006 al novembre 2019, a quella di Luis Arce. Quest’ultimo considerato il vero artefice del modello economico boliviano aveva trionfato nelle elezioni del 2020 che avevano determinato il ritorno alla democrazia dopo la breve parentesi del colpo di stato che aveva costretto Morales all’esilio in Messico. Il saldo consenso maturato negli anni dalle politiche redistributive di Morales aveva portato a nuove elezioni che, seppur in assenza del più volte presidente impossibilitato a ricandidarsi, avevano incoronato il vincitore delle primarie del partito come l’erede designato. Un trionfo giunto già al primo turno con oltre il 55% dei consensi che in appena un lustro, però, si è disciolto come neve al sole.

La fronda interna si era aperta, in verità, già da un paio di anni in occasione delle dichiarazioni di Morales che erano risultate una vera e propria esautorazione del suo successore. Intenzionato a riproporsi agli elettori per la massima carica istituzionale del Paese andino l’ex sindacalista cocalero ha finito per accendere una disputa sull’eredità del partito e le politiche governative capace di generare tre o quattro diverse anime. Tra gli evisti e gli arcisti sono spuntati anche i sostenitori di candidature più giovani (come quella di Andrónico Rodríguez) finendo per stancare l’elettorato di riferimento.

Evo Morales
Evo Morales

La parabola finale per Morales era giunta già lo scorso maggio[1] quando i suoi tentativi di registrare la candidatura per il primo turno delle elezioni presidenziali sono definitivamente naufragati davanti al Tribunale Supremo Elettorale (TSE). Venuta meno anche la candidatura dell’uscente Arce, per sua scelta considerando che quello appena terminato era solamente il primo mandato, il Mas si è diviso tra l’indipendente Andrónico Rodríguez (attestatosi all’8,5%) e il ministro uscente Eduardo del Castillo[2] che nonostante l’investitura di Arce ha raccolto appena il 3,2%.

Di fatti nelle regioni occidentali, storiche roccaforti del socialismo in salsa boliviana, lo zoccolo duro affine a Morales ha optato per la scheda nulla, come richiesto dallo stesso ex presidente, prendendo le distanze da tutti gli altri candidati nell’impossibilità di esprimere la propria preferenza sull’unico candidato che avrebbe supportato. Questo enorme afflusso di voti ha portato al dato record del 19,9% di voti nulli sull’87% di cittadini aventi diritto recatisi alle urne. Disaffezione verso i partiti e i candidati ma non per la politica e il futuro della nazione, è questo quanto emerso dall’alta partecipazione popolare al voto.

Di sicuro, però, il passaggio di testimone avutosi a Palazzo Quemado a La Paz con il giuramento del nuovo presidente segna la fine di un percorso, lungamente considerato di successo, per la nazione sudamericana e l’intero subcontinente. La riapertura alle relazioni con gli Stati Uniti incoraggiata dal segretario di Stato Usa Marco Rubio, appartenente a quella parte di latinos che vede in Trump e nei repubblicani l’assicurazione contro i modelli socialisti del sud del continente, la fine della partecipazione all’Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba) col Venezuela di Maduro e il rapporto con il Brasile di Lula, primo partner strategico, ridefiniranno anche il ruolo all’interno della regione sudamericana.


Note:

[1] Evo Morales è escluso dalle elezioni generali in Bolivia, PrensaLatina, 20 maggio 2025.

[2] Tiziano Breda, “L’implosione del MAS segna la fine di un’era politica in Bolivia”, Affariinternazionali.it, 21 agosto 2025.

  • Salerno, 22 febbraio 1989. Laureato in Scienze politiche si è specializzato in Storia contemporanea e geopolitica dell’America Latina.
    Collabora con diverse testate, fra le quali Eurasia - rivista di studi geopolitici e Diorama letterario. Nell’autunno 2019 ha fondato la rivista bimestrale di approfondimento politico-culturale Il Guastatore, di cui è stato editore e coordinatore di redazione.
    Coautore del libro “Il socialismo del XXI secolo. Le rivoluzioni populiste in Sudamerica” (Circolo Proudhon edizioni, 2016) è autore dei saggi biografici “Juan Domingo Perón” (Fergen, 2021) e "Filippo Corridoni. La vita e le idee dell'Arcangelo sindacalista" (Passaggio al Bosco, 2021).
    Ha approfondito il concetto di “guerriglia” curando per le case editrici milanesi Oaks e Iduna e la fiorentina Passaggio al Bosco una serie di testi sui leader della lotta anti-imperialista degli stati del Sud del mondo.

    Visualizza tutti gli articoli
Ti è piaciuto questo articolo? Apprezzi i contenuti di "Caput Mundi"? Allora sostienici!
Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *