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C’era una volta l’informazione

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C’è stato un tempo in cui l’informazione aveva un valore sacro; un tempo in cui il mestiere del giornalista era quello del cronista, dell’investigatore, del mediatore tra i fatti e l’opinione pubblica; un tempo in cui “verificare una fonte” non era un optional, ma il fondamento stesso del racconto. Quel tempo sembra ormai un’eco lontana.

Oggi, nell’era dell’istantaneità, la notizia è diventata un prodotto deperibile: consumata nel tempo di uno scroll, giudicata in base ai like, condivisa senza il minimo filtro critico. L’informazione non racconta più la realtà: la produce. E nel farlo, spesso la distorce.

La corsa allo scoop è diventata un gioco al massacro. I media – stampa, TV, social, YouTube – non inseguono più la verità: inseguono l’attenzione. In un mercato in cui il capitale più prezioso è il tempo dell’utente, la veridicità della notizia passa in secondo piano. Ciò che conta è arrivare primi, generare traffico, monetizzare.

In tal modo si moltiplicano i titoli sensazionalistici, le immagini decontestualizzate, le fonti mai verificate. Un video virale basta per costruire una narrazione. Un tweet viene preso quale testimonianza. Un’immagine fuori fuoco diventa prova.

Il caso di cui si è parlato negli ultimi giorni[1] è l’esempio perfetto. Una notizia rimbalza sui social, viene amplificata da testate internazionali, commentata da influencer, analizzata da youtuber. Poi, qualcuno si ferma e chiede: “Ma è vero?”. Solo allora emergono le incongruenze, i dubbi, le omissioni.

Ed è qui che si apre il vero tema: non la veridicità di una specifica notizia, ma il meccanismo attraverso cui una non-notizia possa diventare un fatto globale. La macchina dell’informazione non ha più freni, è alimentata da una fame costante di contenuti, da un algoritmo cieco, da un pubblico troppo spesso pigro e superficiale.

Il problema non sono solo i media, il problema siamo anche noi: lettori, spettatori, utenti. Abbiamo smesso di porci domande. Abbiamo smesso di cercare. Ci accontentiamo del titolo, del frame, della clip di 15 secondi. Vogliamo indignarci, emozionarci, schierarci, ma non vogliamo approfondire.

C’era una volta l’informazione: quella che ti costringeva a riflettere, quella che, prima di mostrarti un’immagine scioccante, ti spiegava il contesto, quella che aveva il coraggio di dire “non lo sappiamo ancora” invece di improvvisare analisi su basi fragili.

Oggi invece vige la regola dell’effetto immediato. L’immagine che commuove, il titolo che colpisce, il video che fa piangere od arrabbiare. Poco importa se sia autentico, l’importante è che funzioni.

Nel frattempo, chi osa sollevare dubbi viene etichettato come negazionista, disinformato, colluso. Chi chiede fonti viene ignorato od attaccato. Chi propone una verifica indipendente viene tacciato di relativismo. L’informazione è diventata fede: o credi, o sei contro.

Ma l’informazione non è una religione: è un metodo, un lavoro di pazienza, di confronto, di fatica e richiede tempo, risorse, professionalità. Richiede anche umiltà: quella di ammettere che non tutto sia chiaro, che i fatti vadano contestualizzati, che la realtà sia spesso più complessa di un post su Instagram.

C’era una volta l’informazione. E ci sono ancora, per fortuna, piccole sacche di resistenza: giornalisti che controllano le fonti, analisti che evitano conclusioni affrettate, lettori che chiedono chiarezza. Sono pochi, ma esistono e sono la speranza che questo mestiere, e questo diritto, non siano definitivamente perduti.

La domanda è: vogliamo davvero sapere la verità? O preferiamo le storie che ci confermino quello che già pensiamo?

Finché l’informazione sarà un campo di battaglia per l’attenzione, e non un terreno per la comprensione, continueremo a vivere in un mondo in cui tutto possa essere vero e falso al tempo stesso. E la realtà, quella vera, continuerà a sfuggirci sotto gli occhi.

C’è ancora tempo per cambiare rotta, ma serve coraggio: il coraggio di dubitare, di fermarsi, di leggere davvero, di chiedere: “Chi lo dice? Come lo sa? A chi conviene?”.

Perché senza queste domande, non esiste informazione: esiste solo propaganda travestita da verità.

E allora, davvero: c’era una volta l’informazione.


Note:

[1] https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/alcune-foto-di-fame-a-gaza-fabbricate-con-hamas-immagini-tra-fiction-e-realta-linchiesta-dei-media-tedeschi_2h1CerwoEAftGcjGQSS0U9?fbclid=IwQ0xDSwMB2pxjbGNrAwHaemV4dG4DYWVtAjExAAEeVqEicABDtYaW5G-6T5mgQJ1z8xClozYTvjzvzaDK8IHNCLwOnjycWtqdyCk_aem_QVXdSRIJ0eCn1s0-ZlS_Bw&sfnsn=scwspwa

  • Senior IT Manager, esperto in cybersecurity ed intelligenza artificiale. Dal 1999 opera nel settore IT dallo sviluppo, alla direzione di progetti, sia in ambito startup che in ambito corporation; negli ultimi anni si è specializzato in sicurezza informatica e nelle tematiche inerenti all’adozione dell’IA nei processi aziendali.
    Fondatore del blog "Caput Mundi", responsabile della gestione sistemistico-tecnico-operativa del sito ed operatore delle pubblicazioni sul blog e rispettivi profili social, coordinatore della sezione "Informatica e Tecnologia".

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