Il disastro demografico russo
Perché l’onda lunga del Novecento rischia di portare quasi all’estinzione i tre popoli slavi orientali.
“Affermo che, dato non fondamentale ma pregiudiziale della potenza politica, e quindi economica e morale delle Nazioni, è la loro potenza demografica”. Con queste parole del 1927 Mussolini lanciò la cosiddetta Battaglia Demografica, detta anche Battaglia delle Nascite. Scopo evidente di tale politica era aumentare il numero degli italiani e quindi dei soldati del futuro. “Otto milioni di baionette” per restare nel campo delle mussoliniane citazioni. Se la seconda frase rientra nel novero di quelle che hanno reso la memoria storica del dittatore romagnolo parzialmente macchiettizzata e abbondantemente fanfarona, il primo discorso contiene invece un’analisi di tutto rispetto figlia di un’intelligenza, piaccia o no, molto superiore alla media.
La seconda metà del XX secolo ha visto un aumento della popolazione mondiale che nel cosiddetto Terzo Mondo ha superato i limiti di guardia, ponendo agli analisti il serio quesito se entro qualche decennio l’umanità non avrebbe finito per cannibalizzarsi, come avvenuto in quel microcosmo che fu l’Isola di Pasqua (Rapa Nui). Se pensiamo che nel 1950 eravamo 2 miliardi e 525 milioni, diventati 8 miliardi e 124 milioni nel 2024… il timore acquisisce un senso. Tuttavia, negli ultimi vent’anni la demografia mondiale, con la grossa eccezione dell’Africa nera, ha completato la cosiddetta Transizione Demografica, che in linguaggio meno scientifico significa che il numero di figli è diminuito. Ovviamente il mondo grande ed ogni macroregione ha la sua storia. L’Occidente, ricco ed evoluto da più tempo, è da troppi anni che non rimpiazza i suoi defunti, al punto di avere legittimi timori sul suo futuro. La Cina, a seguito della Politica del figlio unico, nobile negli intenti ma pericolosissima negli effetti, rischia un disastro socioeconomico. L’India, da poco divenuta il Paese più popoloso del pianeta, ha iniziato un rallentamento nella crescita, segno che tra qualche decennio inizierà (finalmente!) a calare anch’essa. Persino il Sudamerica ed il mondo islamico dal Marocco all’Iran hanno raggiunto la Transizione. Pertanto, con la succitata eccezione dell’Africa nera, vera bomba geopolitica in inflazione demografica che grava sul nostro futuro, la popolazione mondiale sembra aver raggiunto per questo secolo suo il massimo potenziale.

Queste analisi e queste paure, ovviamente, non facevano parte dell’epoca di Mussolini. Allora le masse umane erano molto più importanti di oggi nello stabilire la forza di una Nazione o di un impero. Vedasi, in particolare, il caso russo.
Nell’immaginario collettivo occidentale uno dei principali punti di forza dell’impero degli Zar prima e dell’Unione Sovietica poi stava nei suoi numeri. Vi è molto di vero in questo, ma anche molta imprecisione. La Russia, fin dai tempi della Rus’ di Kiev, è stata un territorio immenso e quindi abitato da molte genti. Ma questo territorio, in relazione alla sua grandezza, ha sempre avuto una densità di popolazione piuttosto esigua. Ciò ha sempre gravato i leaders russi di difficili problemi di gestione del territorio e di cronica carenza di manodopera. La servitù della gleba sempre più dura da Ivan il Terribile in poi, il brutale sfruttamento di milioni di schiavi in lavori mortali da parte del comunismo (con Stalin come despota supremo ma non certo unico)… tutto ciò deriva dalla carenza di braccia, carenza che la Russia, resa di mentalità parzialmente asiatica dal nefasto Giogo Mongolo, ha affrontato annullando i diritti del cittadino al cospetto dell’autorità dello Stato. Pertanto, di fronte alle oggettive difficoltà di governare territorio e popolazione, i sovrani russi (sia monarchici che comunisti) hanno potuto buttare sulla bilancia della guerra le celebri masse russe solo nei casi, non pochi, in cui sono riusciti ad organizzare la loro collettività. Non dimentichiamo che la Francia rivoluzionaria prima e napoleonica poi ebbe la sua “arma segreta” nei numeri, avendo nel 1795 ben 28 milioni di abitanti. La Russia, l’unico Paese che all’epoca poteva competere, ne aveva 29 in un territorio assai più vasto la cui gestione drenava molte più risorse allo Stato. Ne consegue che la Francia riuscì a conquistare mezza Europa in gran parte grazie al numero, senza voler ovviamente sminuire la superba macchina bellica forgiata dalla Rivoluzione e perfezionata da Bonaparte.
Torniamo in Russia. Il grande Paese/Impero dell’est rispetto all’Occidente ha sempre patito, altro lascito del Giogo Mongolo, una relativa arretratezza sociopolitica e di conseguenza tecnologica. Ciononostante, dal 1470 in poi è riuscita ad espandersi in modo prodigioso per oltre quattro secoli consecutivi. Risultato? Più conquiste uguale più sudditi (o schiavi). Più sudditi uguale più soldati e lavoratori. Più soldati e lavoratori uguale più conquiste. Fino al fatidico 1914, anno di scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’evento supremo che, con tutte le sue conseguenze, ha avviato quel percorso storico che oggi arriva a mettere in dubbio la sopravvivenza stessa dell’uomo bianco o, per usare un termine più politicamente corretto, della Civiltà Occidentale (di cui i russi fanno parte, anche se non gli piace sentirselo dire e spesso fanno di tutto per dimostrare il contrario).
Fin dal tempo dell’Invasione Mongola la storia delle terre russe è stata una storia dura, in cui necessità, errori e sfortuna hanno imposto un calo al valore della vita umana. Ciò che è accaduto nella prima metà del XX secolo, tuttavia, ha lasciato un tale segno sui tre popoli slavi orientali (russi, bielorussi ed ucraini) da metterne in dubbio, secondo alcuni pessimisti, la loro stessa esistenza futura. Stiamo parlando della quantità di morti violente che ha afflitto le terre dell’ex Impero Russo ed in particolare dell’ex Unione Sovietica tra il 1914 ed il 1953. Non si tratta di un calcolo semplice, poiché i confini nazionali sono cambiati molte volte e perché la dimensione dei disastri susseguitisi fu tale che le autorità statali faticarono a tenere una conta precisa. Tuttavia, anche una somma grossolana ci aiuterà a comprendere l’entità del cataclisma.
Per non intasare il testo con troppi numeri sommeremo le vittime militari e civili per tutte le cause nei rispettivi eventi, facendo una media tra le cifre massime e minime calcolate dagli storici:
- Prima Guerra Mondiale: 3.500.000 morti.
- Guerra Civile Russa: circa 9.500.000 morti e 1.500.000 espatriati.
- Vittime del leninismo: 1.800.000 uccisi nel Terrore Rosso, 6.000.000 di morti durante la Carestia del 1920-’21 causata dal Comunismo di Guerra e 260.000 caduti complessivi nella Rivolta di Tambov.
- Guerra sovietico-polacca: 60.000 soldati caduti.
- Vittime dello stalinismo: tra i 10 ed i 15 milioni di morti causati dalla repressione e dalle politiche di Stalin e 150.000 soldati caduti nella Guerra d’Inverno.
- Seconda Guerra Mondiale: circa 25 milioni di morti (questa cifra può essere definita una “super media”, in quanto le fonti divergono moltissimo).
La somma dei numeri sopraelencati va da 56 milioni e 700.000 a 61 milioni e 270.000 morti in eccesso in 40 anni! A cui bisogna aggiungere 1 milione mezzo di esuli fuggiti dal comunismo. Cifre sconcertanti, che gravarono principalmente su Russia, Ucraina e Bielorussia (ed in parte sul Kazakistan).

Per capire gli effetti di questa mattanza si consideri che nel 1914 nell’Impero Russo (comprendente Finlandia, Paesi Baltici ed il grosso della Polonia) vivevano 176,5 milioni di persone; l’Unione Sovietica nel 1941 aveva quasi 197 milioni di abitanti, scesi a 170,5 nel ‘46 malgrado le annessioni di Stalin. Eppure, nonostante le stragi di Stalin ed Hitler, la natalità degli anni ‘20 e ‘30 fu talmente elevata che nel 1959 l’URSS arrivò a 209 milioni. Una piena ripresa quindi? No, perché la demografia lavora lentamente, sia nella crescita che nel calo. L’alta natalità tra le guerre mondiali permise il recupero successivo alle stragi peggiori, ma rimase un “buco” generazionale compreso grosso modo tra il 1932 ed il 1945: le persone in età riproduttiva uccise in quel lasso di tempo sarebbero state sostituite dai bambini nati precedentemente, ma loro non avrebbero potuto contribuire alla procreazione della generazione successiva. Questo “buco”, pertanto, significò meno figli, meno nipoti e ora meno bisnipoti. È vero che la popolazione sovietica continuò a crescere fino al 1991, quando giunse a 293 milioni, ma è indicativo che i russi etnici passarono dal 58,4% del 1939 al 50,8% cinquant’anni dopo. Gli uzbeki islamici, nello stesso lasso di tempo, crebbero dal 2,7% al 5,8%.
Con la caduta dell’URSS il trend è accelerato. Nel 1992 la Russia aveva 148, 5 milioni di abitanti, che iniziarono a calare anno dopo anno. Le cause, oltre al tragico “buco” generazionale, furono il pessimo sistema sanitario ereditato dal regime comunista e l’emigrazione verso l’Occidente, quest’ultima inizialmente compensata dall’immigrazione dei russi etnici rimasti nei nuovi Stati indipendenti. In ogni caso i numeri continuarono a scendere fino al 2007, anno in cui si arrivò a 142,7 milioni, per poi godere di una debole ripresa (dovuta anche agli sforzi del Governo) durata fino al 2017, con 146,8 milioni. Da allora il calo è ricominciato.
Purtroppo per la Russia ai problemi demografici strutturali si è aggiunta la pandemia di COVID-19, che ha colpito su un sistema sanitario ancora debole. Tra il 2020 ed il 2021 il Paese ha subito il maggior calo di popolazione mai avuto in tempo di pace, pari a 997.000 abitanti, dovuti in gran parte all’epidemia. Malgrado i deceduti a causa del COVID fossero per lo più oltre l’età riproduttiva questa ennesima falciata ha portato il Paese più grande del mondo a soli 144,5 milioni di abitanti nel 2022, dei quali appena il 71,76% di etnia russa e all’anno 2017 ben il 10%, pari a 14 milioni, di musulmani (fonte: “International Religious Freedom Report for Russia 2017”, United States Department of State – Bureau of Democracy, Human Rights, and Labor”).

Tutto qui? Neanche per sogno! Infatti, dal febbraio 2022, anno dell’Invasione putiniana dell’Ucraina, almeno un milione di russi sono fuggiti dal Paese per evitare la coscrizione o fuggire da un regime sempre più repressivo. Un simile esodo si era visto solo nel 1917, a seguito della conquista del potere dei comunisti di Lenin.
Numeri più che preoccupanti, che rischiano di preannunciare la sinizzazione della Siberia (col risultato di avere l’Asia sugli Urali come ai tempi dell’Orda d’Oro) e l’islamizzazione della Russia europea, una trasformazione geopolitica quasi sicuramente mortale per la nostra Civiltà. Numeri, infine, che avrebbero dovuto indurre il signore del Cremlino a concentrarsi sulla demografia, piuttosto che scatenare l’ennesima guerra civile europea, nella quale altri russi ed ucraini in età riproduttiva sono mandati al macello invece che essere incentivati alla procreazione.
Riferimenti bibliografici:
- Marchand, P. (2016). La Russia in 100 mappe. Leg Edizioni.
- Overy, R. (2003). Russia in guerra. Il Saggiatore SpA.
- Gilbert, M. (1998). La grande storia della Prima Guerra Mondiale. Mondadori.
- Ferguson, N. (2017). Il grido dei morti. Mondadori.
- Hastings, M. (2012). Inferno. Neri Pozza Editore.
- Andolenko, S. (2013). Storia dell’esercito russo. Odoya.
- Zamoyski, A. (2008). La battaglia di Varsavia. Corbaccio.
- Nixon, R. (1980). La vera guerra. Editoriale Corno.