Europa digitale: innovazione regolata o frenata?
Un paradosso tutto europeo
L’Europa è oggi il continente che più di ogni altro ha costruito la propria identità politica sulla regolamentazione: dal GDPR al Digital Markets Act, fino al recentissimo AI Act, il Vecchio Continente è diventato un laboratorio normativo globale. Ma è anche l’area del mondo che meno innova.
Il paradosso, evidenziato in apertura del volume Le sfide delle politiche digitali in Europa, è simbolizzato dal celebre grafico pubblicato dall’ex commissario Thierry Breton: l’Europa, unica regione con una legge sull’intelligenza artificiale, ma assente dai vertici della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
La domanda che percorre il libro – curato da Serena Sileoni (Docente di Diritto Costituzionale) e Carlo Stagnaro (direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, ex-direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale) – è semplice ma radicale: l’iper-regolamentazione è la causa o la conseguenza della scarsa capacità innovativa europea?
Il volume, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni con il sostegno di Meta, raccoglie interventi di studiosi, giuristi e policy-maker (decisori politici). Tutti concordano su un punto: la sfida digitale europea non si gioca solo sulle piattaforme o sull’intelligenza artificiale, ma sulla capacità di conciliare libertà economica, tutela dei diritti e crescita.
Il peso della regolamentazione
Negli ultimi anni Bruxelles ha prodotto un numero record di norme: oltre 13 000 atti legislativi tra il 2019 e il 2024, più del doppio rispetto a Washington. Dalla protezione dei dati personali all’obbligo di interoperabilità dei servizi, l’Unione ha costruito una complessa architettura che definisce in anticipo i comportamenti “corretti” delle imprese digitali.
Il GDPR, il Digital Services Act (DSA) ed il Digital Markets Act (DMA) hanno un obiettivo condiviso: ridurre gli squilibri di potere fra i colossi tecnologici e gli utenti. Ma questa ambizione, sottolineano Sileoni e Stagnaro, rischia di trasformarsi in un sistema di “compliance preventiva” che inibisce la sperimentazione.
Il risultato che ne consegue è che le imprese europee spendano più per adeguarsi alle regole che per innovare: i dati della Commissione europea mostrano che i costi amministrativi medi per le PMI digitali sono cresciuti del 20% dopo l’entrata in vigore del GDPR. In un contesto globale dominato da Stati Uniti e Cina, un simile divario grava in qualità di una vera e propria tassa sull’innovazione.
Un mercato unico ancora incompleto
Flavio Arzarello (Public Policy Manager, Economic and Regulatory policy di Meta) fotografa un’altra debolezza strutturale: il mercato unico digitale resta incompiuto. Le direttive europee sono spesso recepite in modo disomogeneo e le autorità nazionali applicano le stesse regole con criteri diversi.
Trent’anni dopo Maastricht, un’impresa di Torino incontra ancora ostacoli normativi per offrire i propri servizi a Helsinki od Atene. L’Europa rimane un mosaico di 27 regimi regolatori e fiscali.
Le conseguenze economiche sono evidenti: il PIL pro capite europeo è la metà di quello statunitense (40 000 $ contro 80 000 $), e gli investimenti in ricerca e sviluppo sono circa un terzo di quelli americani.
Il report The Future of European Competitiveness, redatto da Mario Draghi per la Commissione, è esplicito: solo il 5% dei fondi globali di venture capital (capitale di rischio) è raccolto in UE, contro il 52% negli USA.
Senza capitali, la regolazione diventa un alibi e non uno strumento di progresso.
Privacy e “protezionismo dei dati”
Il giurista Vincenzo Zeno-Zencovich, nel saggio Protezionismo dei dati, offre una lettura geopolitica del GDPR: più che un baluardo dei diritti, è diventato un meccanismo di sovranità digitale mal gestita.
Il principio di “adeguatezza” che vieta (a prescindere dal contenuto) il trasferimento dei dati verso Paesi con standard di tutela inferiori crea una forma di localizzazione obbligata. Così, invece di favorire la circolazione dell’informazione legittima, l’Europa erige barriere simili a dazi digitali.
Una strategia che risponde alla logica dell’“effetto Bruxelles”: definire standard globali grazie al peso normativo dell’UE. Ma nel mondo dei dati, l’effetto è l’opposto. Mentre i regolatori europei discutono di data sovereignty (sovranità del dato), agli antipodi, gli Stati Uniti sperimentano modelli di IA open-source (in base al principio della trasparenza, ma con possibile erronea divulgazione di dati privati) mentre la Cina consolida un ecosistema di dati pubblici e privati sotto osservazione statale (mancanza di libertà ed effettivo regime di controllo).
Il risultato, prosegue Zeno-Zencovich, è che l’Europa rischia di diventare “colonia di dati”, costretta ad importare innovazione da chi può elaborare e sfruttare le informazioni con maggiore efficacia.
Libertà digitale e nuovi poteri privati
Il giurista e costituzionalista Tommaso Edoardo Frosini analizza la trasformazione della libertà di espressione nell’era digitale. Tramite Internet, ogni cittadino è al tempo stesso produttore e diffusore di contenuti: una “libertà informatica” che amplia la sfera dei diritti ma moltiplica i rischi di censura e concentrazione.
I giganti del web — da Meta a Google — sono diventati nuovi regolatori privati, in grado di stabilire cosa è visibile e cosa no. L’intervento pubblico, però, spesso replica lo stesso meccanismo di controllo, trasformando la tutela in sorveglianza.
Per Frosini, la risposta non è più regola(menta)zione, bensì pluralismo: garantire la concorrenza delle idee e delle piattaforme, non uniformarle. Il rischio, ammonisce, è che la libertà digitale segua la parabola della libertà di stampa: nata per emancipare, ma finita per essere compressa da interessi economici e politici.
Concorrenza, gatekeepers e il “Brussels Effect”
Due saggi — quello di Mariateresa Maggiolino (Docente Ordinaria di Diritto dell’Economia presso l’Università Bocconi) e quello di Giuseppe Colangelo (Docente di Diritto ed Economia della Concorrenza) — decostruiscono la logica del Digital Markets Act (DMA). Il regolamento nasce per prevenire abusi di posizione dominante, ma rappresenta anche un atto di politica industriale: definisce ex ante chi siano i “gatekeepers” (le grandi piattaforme digitali dominanti) ed impone obblighi di condotta dettagliati.
Maggiolino sottolinea come il DMA ribalti l’approccio tradizionale dell’antitrust, basato sull’analisi caso per caso. In nome della “fairness” (parità di condizioni), l’UE introduce vincoli uniformi a soggetti globali, spesso statunitensi, con l’obiettivo implicito di riequilibrare il potere economico.
Colangelo parla di “controstoria” del DMA: un tentativo di normare la concorrenza prima che esista il mercato stesso. Il rischio è che la regolazione tenti di anticipare l’innovazione e non ne segua lo svolgersi.
L’Europa, osserva Stagnaro nella prefazione di Le sfide delle politiche digitali in Europa, non può sostituire l’assenza di grandi attori tecnologici attraverso un eccesso di regole:
L’unico continente che regola l’IA è quello che non la produce.
Fisco e sovranità digitale
Alessia Sbroiavacca (Master di ricerca in “Scienze giuridiche”, esperta di Diritto comparato, internazionale ed europeo) affronta il tema della tassazione dei profitti digitali. Le multinazionali del web, operando in modo dematerializzato, sfuggono alle giurisdizioni fiscali tradizionali.
L’UE e l’OCSE lavorano ad un’imposta minima globale, ma i Paesi membri continuano ad introdurre digital tax nazionali, generando un ulteriore livello di frammentazione.
Per l’autrice, la soluzione non è un’ennesima tassa bensì una strategia europea comune: solo un regime fiscale stabile può attrarre investimenti ed impedire che le imprese spostino ricerca e profitti altrove.
In assenza di un coordinamento, l’Europa finisce per punire i propri operatori digitali più che le Big Tech.
L’AI Act: tra etica e competitività
Il nuovo regolamento sull’intelligenza artificiale, approvato nel 2024, è il banco di prova della capacità europea di bilanciare innovazione e sicurezza.
L’AI Act classifica i sistemi di IA secondo il livello di rischio ed impone obblighi proporzionali. Ma, come ricordano Sileoni e Stagnaro, la norma arriva prima dello sviluppo del mercato, non dopo.
Flavio Arzarello osserva come la mancanza di chiarezza sull’uso dei dati abbia già portato alcune aziende — Meta, Luxottica, Pirelli, Engineering — a sospendere in UE l’addestramento dei propri modelli di IA.
L’Europa rischia di trovarsi con un apparato regolatorio perfetto per un mercato che non esiste. Mentre nel Regno Unito, con una versione “snella” del GDPR, le stesse imprese procedono all’addestramento dei modelli, l’UE resta ferma in attesa di linee guida.
L’innovazione, ammonisce Arzarello,
non è mai neutra: o la governi con visione, o la subisci con norme.
Verso una “smart regulation”
Dalle pagine del volume di Stagnaro emerge un messaggio chiaro: non si tratta di scegliere tra regola(menta)zione ed innovazione, ma di imparare a regolare in modo intelligente. La “smart regulation” europea dovrebbe combinare tre principi:
- Proporzionalità, per evitare oneri inutili sulle imprese;
- Valutazione d’impatto sull’innovazione, prima di approvare nuove leggi;
- Stabilità normativa, per offrire certezze ad investitori e startup.
L’esperienza britannica e quella francese mostrano che anche le autorità per la privacy possono tenere conto dell’effetto delle proprie decisioni sull’ecosistema innovativo.
In Europa, invece, la frammentazione istituzionale e l’attivismo regolatorio rischiano di tradursi in una forma di “auto-handicap competitivo”.
Come postilla Sileoni,
se davvero il ritardo europeo dipende da fattori strutturali — finanza, cultura del rischio, formazione — allora è su questi che dovremmo intervenire, non sull’ennesima norma.
L’Europa al bivio digitale
L’Unione Europea ha conquistato una leadership normativa indiscussa, ma la sua influenza globale non può basarsi solo sul diritto.
Il futuro dell’Europa digitale dipenderà dalla capacità di tradurre i principi della regolazione in strategie industriali, investimenti e fiducia nell’innovazione.
Il rischio, oggi, è che l’effetto Bruxelles diventi un boomerang: standard elevati che nessuno, tranne gli altri, riesca a rispettare.
Servono meno leggi e più visione, meno divieti e più incentivi alla ricerca, meno timore dell’errore e più cultura della sperimentazione.
Perché, come ricordava Ronald Coase,
ogni regolazione è una tassa» — e l’Europa, per tornare competitiva, deve imparare a non tassare la propria libertà di innovare.
Riferimenti bibliografici:
- Commissione europea. (2024). The future of European competitiveness: A competitiveness strategy for Europe (Rapporto Draghi).
https://commission.europa.eu/document/download/97e481fd-2dc3-412d-be4c-f152a8232961_en?filename=The+future+of+European+competitiveness+_+A+competitiveness+strategy+for+Europe.pdf - European Union. (2022). Digital Decade Policy Programme 2030.
https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/library/digital-decade-policy-programme-2030 - European Union. (2024). Regulation (EU) 2024/1689 of the European Parliament and of the Council of 13 June 2024 laying down harmonised rules on artificial intelligence (Artificial Intelligence Act).
https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2024/1689/oj/eng - European Union. (2022). Regulation (EU) 2022/1925 of the European Parliament and of the Council of 14 September 2022 on contestable and fair markets in the digital sector (Digital Markets Act).
https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2022/1925/oj/eng - European Union. (2022). Regulation (EU) 2022/2065 of the European Parliament and of the Council of 19 October 2022 on a Single Market for Digital Services and amending Directive 2000/31/EC (Digital Services Act).
https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2022/2065/oj/eng - Organisation for Economic Co-operation and Development. (2024). Digital Economy Outlook 2024 Vol. 2.
https://www.oecd.org/content/dam/oecd/en/publications/reports/2024/11/oecd-digital-economy-outlook-2024-volume-2_9b2801fc/3adf705b-en.pdf - European Investment Bank. (2024). Investment Report 2024/25.
https://www.eib.org/en/publications/20240354-investment-report-2024
Per approfondimento:
- Stagnaro, C., & Sileoni, S. (Eds.). (2024). Le sfide delle politiche digitali in Europa. IBL Libri.
- Zeno-Zencovich, V. (2023). Protezionismo dei dati e sovranità digitale. IBL Special Report.
- Maggiolino, M. (2023). Digital markets and antitrust in the EU. Bocconi Legal Studies.
- Bradford, A. (2020). The Brussels effect: How the European Union rules the world. Oxford University Press.
- European Centre for International Political Economy (ECIPE). (2022). The cost of data protectionism. https://ecipe.org/blog/the-cost-of-data-protectionism/



