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Niente formaggio svizzero per Vladimir Putin

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È di questi giorni una notizia, passata piuttosto inosservata, che rappresenta una piccola, ma non più di tanto, rivoluzione copernicana nella geopolitica del continente europeo. Ovvero che la Svizzera stia valutando di abbandonare la sua storica neutralità, punto fermo della politica estera della Confederazione alpina fin dal 1815.

Non che l’isolazionismo elvetico non sia già stato parecchio rosicchiato dalla storia, sia chiaro. Durante la Guerra Fredda i piani di difesa della piccola Nazione erano tutti studiati per difendersi dall’Unione Sovietica, non certo dalla NATO. Ciò significa che i militari elvetici avevano più di un canale aperto con l’Alleanza occidentale. Inoltre, l’aviazione di Berna effettua da anni addestramenti congiunti con l’aeronautica francese. Questo in gran parte per ragioni geografiche: un F-18 che decolla nel centro del Paese alpino in pochi minuti è già fuori dal suo spazio aereo nazionale! Ma, geografia o no, è innegabile che delle esercitazioni congiunte si fanno solo Paesi che, se non sono alleati de jure, almeno lo sono de facto.

Ma oggi in pentola bolle qualcosa di ben più sostanzioso, ovvero la possibilità di una partnership militare tra la Svizzera e l’Unione Europea. Mentre scriviamo le discussioni preliminari sono già in corso. Non solo. Il Governo elvetico ha anche chiesto ed ottenuto di poter accedere (e quindi partecipare) al fondo comunitario di 150 miliardi di euro destinato al riarmo europeo, il cosiddetto Security Action for Europe, abbreviato SAFE. I motivi di questa incredibile svolta nella politica estera di Berna sono due. Il primo e più ovvio è la tensione internazionale, esemplificata dall’invasione putiniana dell’Ucraina, che ha fatto tornare in Europa la guerra convenzionale, fenomeno che (con la parziale eccezione jugoslava) non si vedeva dal 1945. Il secondo motivo è che, con l’intero continente impegnato in un riarmo che non si vedeva dai tempi più bui della Guerra Fredda, l’industria bellica elvetica, di per sé brillante, se autoisolata rischierebbe di rimanere indietro rispetto a quella dell’UE, che gode di enormi risorse e della sinergia con gli Stati Uniti.

A quanto sopra aggiungiamo che la Svizzera sta per concludere un accordo con l’Ucraina, secondo il quale la Confederazione Elvetica stanzierà un miliardo e mezzo di euro, di cui 500 milioni da parte di privati, per aiutare ed investire nella ricostruzione postbellica.

Risulta evidente, pertanto, che il Governo di Berna ha deciso di integrarsi sempre di più nell’Alleanza occidentale, per quanto in modo ragionevolmente progressivo (210 anni di neutralità armata sono un qualcosa che entra nella psiche collettiva, quindi un cambiamento esige i suoi tempi).

Che analisi possiamo trarre da tutto ciò? Intanto che Putin, con la sua mattana ucraina, non solo ha compattato l’Europa come mai prima d’ora, ma è riuscito a mettersi contro persino l’ex “Stato bancario” per eccellenza, abitato da uno dei popoli più ricchi del pianeta, dotato di un’industria militare e scientifica di prim’ordine e nel quale molti oligarchi russi e lo stesso Putin hanno fior di proprietà immobiliari e chissà quanti soldi depositati. Uno scotto non da poco sacrificato sull’altare (o sul sepolcro) di una dittatura che non riesce a vincere una guerra e che sa di non poter sopravvivere alla sconfitta.

Il tutto in attesa che Orsini ci spieghi che le “invincibili” truppe nordcoreane stiano per conquistare anche Ginevra. Non oggi, non domani, ma dopodomani sicuro (citando Gaber). Perché ovviamente lui lo aveva previsto…

  • Laureato in Storia, autore di saggi storici e di svariati articoli di storia ed analisi geopolitica.
    Fondatore del blog "Caput Mundi", coordinatore sezione "Storia" e "Geopolitica" russa ed anglosassone.

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